Ogni generazione ha i suoi miti, le sue leggende, quell’insieme di racconti che vanno a formare un epos tramandato come la testimonianza di un’epoca d’oro. Se state leggendo questo articolo è molto probabile che siate figli della generazione che ha glorificato gli anni ’80, coi suoi scaldamuscoli, i Duran Duran alla radio e Fantastico a monopolizzare i sabati sera televisivi. Altrettanto probabile è che abbiate vissuto in prima persona una delle più grandi rivoluzioni nell’industria dell’intrattenimento moderno: l’esplosione del fenomeno Pokémon a cavallo dei due millenni, quando per la prima volta nella storia un videogioco arrivava dove non si era mai spinto prima. Edicole, librerie, succhi di frutta, dibattiti in TV/nelle chiese/nei cortili di ogni scuola – non c’era un solo angolo di mondo al riparo dall’avanzata del nuovo impero giapponese.
Ed è proprio da qui che voglio dimostrare il vero motivo per cui dovremmo essere nostalgici dei vecchi tempi di Pokémon.
Perché visti in retrospettiva, quei Rosso e Blu che hanno inaugurato una delle saghe videoludiche di maggior successo di sempre (quasi 300 milioni di copie vendute, seconda solo a quella di Super Mario) sono pure bruttini, detto senza pudore. Non certo perché giochi in 8 bit, ma perché rappresentavano il primo, sudato lavoro di una software house come Game Freak, che fino ad allora aveva accumulato un’esperienza tutto sommato modesta. Lo stesso Junichi Masuda, in occasione del ventennale di Pokémon, aveva svelato che nei sei anni di lavoro spesi per Rosso e Verde più di un computer si era fuso per la mole di lavoro richiesta, complicando ulteriormente lo sviluppo.
Dettagli che aiutano a giustificare la grafica ai minimi termini, con sprite ricordati più per il loro aspetto grottesco che per la fedeltà ai Pokémon rappresentati, il sonoro “operaio”, accettabile ma lontano dai vertici della musica a 8 bit, una trama completamente subordinata al meccanismo del “acchiappa un Pokémon-allenalo-acchiappane un altro”.
Pur non brillando quindi da un punto di vista tecnico (e su Game Boy non mancavano le gemme che sapevano sfruttarlo al massimo, come The Legend of Zelda: Link’s Awakening e Donkey Kong Land), i giochi di I generazione avevano però l’immenso pregio di contenere tutti gli elementi fondamentali dell’avventura Pokémon. Ai minimi termini, ma c’era già tutto, ed è incredibile pensare che appena tre anni dopo, con Pokémon Oro e Argento, si fosse già sfiorata quella perfezione tecnica che costituisce ancora oggi lo standard della serie: il ciclo giorno/notte, la struttura della borsa, i generi sessuali e via discorrendo.
Appurato che non è dei giochi che bisogna avere malinconia, anche perché da allora la saga ha fatto progressi enormi, di cosa dobbiamo essere davvero nostalgici quando parliamo di Pokémon?
Della sua epoca d’oro.
E quando parlo di epoca d’oro intendo proprio quel periodo a cavallo dei due millenni di cui parlavo all’inizio, quel momento unico e irripetibile nella cultura popolare in cui un videogioco nato nel lontano Oriente arriva per sconvolgere tutto, occupare ogni nicchia, infiltrarsi in ogni discussione. Solo chi è stato bambino in quel periodo può ricordare cosa vuol dire vivere in un mondo “a misura di Pokémon”, in cui ad ogni angolo spuntava un pupazzetto della Tomy, una merendina che sfoggiava l’inconfondibile logo giallo, un poster del gioco di carte collezionabili appeso a un’edicola. In cui l’anime riusciva a guadagnarsi la prima serata del sabato, in cui intere classi monopolizzavano gli intervalli in accesissimi scambi di carte sul modello di Wall Street alla vigilia del ’29.
Pokémon è stato qualcosa di talmente grande che ci sono voluti anni, per molti di noi, prima di capire che l’epoca d’oro fosse finita davvero. E in questo è stato complice il contesto storico che lo ha generato: gli anni ’90 sono stati quel periodo in cui l’industria del giocattolo, molto più che nel decennio precedente, cominciò a puntare tutto sul concetto di collezionabilità. Exogini, pogs, le prime sorprese Kinder pesantemente pubblicizzate: chi è nato negli anni ’80 ricorda chiaramente tutto questo, e così come in Italia il discorso era valido Oltreoceano in mille altre varianti. Aggiungiamoci l’esplosione nella diffusione della cultura manga e anime, che aveva sensibilizzato come non mai il pubblico occidentale all’industria del divertimento giapponese, accanto al declino del giocattolo tradizionale (la LEGO rischia più volte la bancarotta tra anni ’90 e 2000, salvata solo da una serie come BIONICLE che proprio da Pokémon aveva appreso la lezione per il successo), e a questo punto diventa lampante come la strada per il trionfo di Pikachu e compagni fosse stata preparata da una serie di congiunzioni astrali irripetibili.
La nostalgia è però una trappola delle più infami. Perché sa generare arroganza, presunzione, cecità, una lunga serie di difetti sotto gli occhi di molti ogni volta che si parla di “com’era Pokémon una volta”. Non solo Pokémon, purtroppo, ed è altrettanto evidente come in moltissimi altri ambiti parecchia gente abbia speculato su una malinconia spiccia per un passato che non è più, spesso ingigantendolo, spesso mitizzandolo, spesso rendendolo una macchietta come gli anni ’80 dei nostri genitori.
Ed è qui che, come appassionati di Pokémon, abbiamo un piccolo dovere, se così vogliamo chiamarlo: il dovere di ricordare un momento unico nella storia non solo dei videogiochi, ma della cultura pop.
Il dovere di ricordarlo proprio per quello che era: un momento irripetibile, figlio di coincidenze uniche, ma che in nessun modo ci rende superiori a chi non ha potuto viverlo. Da ricordare con affetto, consci però che da allora Pokémon è cresciuto moltissimo, migliorandosi in ogni occasione.
Quindi sì, è nostro diritto essere nostalgici, e nessun “speculatore della nostalgia” potrà mai toglierci questo piacere.
Ma lo dobbiamo fare con la lucidità per capire che tutto ciò non deve toglierci il piacere del presente. Né a noi, né a nessun altro.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.
Bellissimo articolo, veramente.
Hai sottolineato numerosissimi elementi interessanti, oltre che veritieri.
Sotto certi punti di vista mi sento quasi privilegiato ad esser nato nel 95.