Parlare di certi argomenti è sempre molto rischioso. Ci vogliono parole misurate, argomentazioni valide, risposte pronte. Soprattutto quando si includono nella stessa frase un franchise per bambini, Pokémon, e una parola dalle implicazioni molto forti come “sessista”, ossia, nella sua definizione più wikipediana, discriminazione tra gli esseri umani basata sul genere sessuale. Con questo articolo voglio infatti porre una domanda scomoda, e cercare di trovare una risposta nella maniera più onesta possibile: Pokémon è sessista?
Quando si parla di sessismo come discriminazione di natura sessuale, la si intende quasi esclusivamente rivolta verso il genere femminile (quando coinvolge l’orientamento sessuale si parla principalmente delle varie -fobie). In questo senso la saga di Pokémon ha alcuni meriti innegabili, il primo di questi dato dalla possibilità di giocare nei panni di una donna (bambine e ragazze, per essere più precisi) fin dai tempi di Pokémon Cristallo, anno di grazia 2000. Questo significa però che per i quattro anni precedenti, nell’arco di ben sei giochi della saga principale, l’unica opzione disponibile era quella maschile. Ed era davvero per una semplice limitazione tecnica?
L’artwork che vedete risale ai tempi di lancio di Pokémon Rosso e Verde e mostra, di spalle, un personaggio femminile molto simile a Blue, tra i coprotagonisti del celebre manga Pokémon Adventures. Il problema è che questo disegno si riferisce espressamente ai videogiochi, essendo la copertina di una vecchia guida, portandoci così a una logica deduzione: Pokémon Rosso e Verde avrebbero dovuto offrire la possibilità di giocare nei panni di una ragazza, ma per motivi sconosciuti ciò non è accaduto.
A questo punto conviene fare un passo indietro, ricordando che Pokémon è prima di tutto il prodotto di una cultura come quella giapponese. E in Giappone, nazione del primo mondo, la condizione femminile ha da sempre avuto qualche difficoltà in più rispetto all’Occidente. Benché i libri di storia parlino di imperatrici, di diritto al divorzio e all’aborto, a partire dal periodo Edo (epoca che si apre nel 1600 per concludersi a metà ‘800) la condizione della donna peggiora considerevolmente, complici testi come l’Onna Daigaku, considerato in questo momento storico il regalo per eccellenza alle nuove spose e che include massime del tipo “le donne sono troppo sciocche per fidarsi di se stesse, e devono riporre ogni fiducia nel proprio marito”. Il successivo rinnovamento Meiji non è da meno, con il codice civile del 1898 che toglie alla donna ogni diritto legale soggiogandola alla volontà del marito. Si instaura nel frattempo il modello famigliare “Ie”, di stampo patriarcale, che obbliga ogni nucleo famigliare a registrare un capo famiglia; ancora oggi, nel 98% dei casi si tratta di un uomo.
Questa parentesi storica vuole semplicemente dimostrare che, ancora negli anni ’90 dello scorso secolo, il Giappone portava sulle proprie spalle il peso di un lungo passato di misoginia. Qualcosa che non poteva non riflettersi anche nei suoi prodotti culturali più innocui, tra cui naturalmente i videogiochi del colosso Nintendo. E se Samus Aran, la bionda protagonista della saga di Metroid, è spesso riportata come esempio progressista di donna forte nei videogiochi (seppur con qualche immotivata accusa di oggettificazione), rimane una colossale eccezione, soprattutto nell’ambito della Grande N.
Riprendendo il filo del discorso, che ne è stato quindi della coprotagonista di Pokémon Rosso e Verde? Molto probabilmente rimossa per mancanza di necessità. In un periodo in cui Pokémon non è ancora un fenomeno globale i bisogni del mercato di riferimento, quello giapponese, hanno la priorità, ed evidentemente la possibilità di giocare nei panni di una donna non rientrava tra questi. Tra tutti i motivi per cui Pokémon può essere considerato sessista questo è sicuramente il più debole, ma mi è servito per due motivi: chiarire la situazione nipponica e introdurre la prima, vera, argomentazione.
Questa immagine parla da sé. Vediamo, fianco a fianco, tutti i protagonisti principali della saga di Pokémon, tra remake e titoli principali. E possiamo notare subito una costante: le ragazze hanno quasi sempre le gambe scoperte. Può sembrare una scemenza, una lamentela da femminista da tastiera, ma è un dettaglio con implicazioni molto forti. La prima è che in Pokémon sono le ragazze a mostrare sempre di più la pelle, elemento chiave a livello sessuale.
Con questo non sto di certo affermando che Pokémon sessualizzi di proposito bambine, ma che sfrutti un meccanismo basilare della sessualità umana per rendere più piacevole alla vista personaggi di genere femminile, soprattutto per un pubblico appassionato di Pokémon che, nonostante tutto, rimane in maggioranza maschile.
La seconda grande implicazione è che questo meccanismo di coprire/scoprire la pelle crea situazioni assurde, da una parte e dall’altra. Così come ci ritroviamo personaggi quali Dawn, che in Diamante&Perla, ma soprattutto in Platino, ha il fegato di girare in minigonna per una regione dal clima alpino, dall’altra parte abbiamo Brendan, il quale sia in Smeraldo che, soprattutto, in Rubino&Zaffiro, indossa un vestiario decisamente inadatto al clima tropicale di Hoenn.
A questo punto posso introdurre un concetto chiave, che è quello di eye candy. Nella sua definizione più basilare può essere descritto come “qualcosa atto a deliziare gli occhi”, valido tanto per un tramonto quanto per un bel faccino. Ed è un termine cruciale in questa vecchia intervista di PokéBeach al regista e sceneggiatore dell’anime Masamitsu Hidaka, il quale fa un’affermazione pesante: il motivo per cui i protagonisti femminili dell’anime cambiano in continuazione, da Misty in poi, è per allietare l’occhio dello spettatore, per essere appunto eye candy. Un’affermazione che si potrebbe credere ironica, ma come fa notare lo stesso autore dell’intervista ogni generazione introduce una protagonista femminile così come uno maschile: perché allora non riservare ad Ash lo stesso trattamento rivolto a Misty&co., o perlomeno affiancare a lui anche i protagonisti maschili?
Un’altra constatazione, oggettiva, in grado di aiutarci a chiarire la situazione è quella in merito ai Professori, da Oak in poi. Corrispettivo in salsa Pokémon della figura del mentore, grande classico dei giochi di ruolo, nel corso di sette generazioni una volta soltanto si è trattato di una donna: con Aralia, in Nero e Bianco e nei loro seguiti. Ossia 14 anni dopo l’inizio della saga. Benché niente e nessuno nel mondo Pokémon dichiari che la vita per una donna sia più difficile che per un uomo, appare evidente che certi ruoli autorevoli siano principalmente appannaggio degli uomini. Discorso simile per il Campione della Lega Pokémon: durante le prime sei generazioni solo due volte è accaduto che fosse donna nei titoli principali (nei terzi capitoli si aggiunge Iris con Nero 2 e Bianco 2, così come Smeraldo aggiungeva Adriano), la prima in Diamante e Perla con Camilla, dopo ben dieci anni di franchise.
Alcune eccezioni, però, ci sono. La più importante, complice la rilevanza dei giochi, è in Pokémon Sole e Luna: un’altra figura di professore donna viene introdotta nella canonicità dei titoli principali, ed è quella della Professoressa Magnolia, già vista nell’oscuro RAdar Pokémon, applicazione dimenticata per Nintendo 3DS. Anche qui, però, si potrebbe gridare al sessismo: introdotta prima di tutto come moglie del Professor Kukui (quest’ultimo, in effetti, un’eccezione al discorso della pelle scoperta che vi facevo prima), durante il resto dell’avventura sparisce dalla circolazione.
Prima di concludere, un ultimo paio di annotazioni che gettano le proprie radici nelle origini della saga.
Questo è sicuramente uno dei momenti in cui Pokémon ha avuto il coraggio di essere meno politically correct possibile, alla faccia dei vari Jynx sbiancati: un vecchio che passa le sue giornate a guardare dalla finestra un edificio pieno di bambine, compiacendosi col giocatore della cosa. La malizia dietro la sua affermazione non è difficile da scovare, e già da bambino capii che quel vecchietto non la raccontava giusta. Per farvi capire la peculiarità della situazione, immaginatevi uno scenario al contrario: un’anziana che passa le sue giornate a guardare di nascosto giovani ragazzi che si allenano. Qualcosa di molto più difficile da accettare, complice la solidità del topos del vecchio pervertito nell’immaginario popolare, soprattutto giapponese.
Un altro momento in cui Pokémon ha deciso di gettarsi tra le braccia di un sessismo sottile, socialmente accettato e quasi impossibile da notare, è con la classe di allenatori delle Bellezze: già dal nome capiamo che il tratto saliente di queste donne è il proprio aspetto fisico, in grado di definire addirittura il loro ruolo all’interno del videogame. E, di nuovo, facendo il gioco dei contrari, notiamo che per gli uomini non accade: non esiste a tutt’oggi, con Pokémon Sole e Luna, la classe dei “Belli”, e in generale non si registrano elogi all’aspetto fisico di capipalestra maschi con una frequenza paragonabile alle varie Misty, Erika, Sabrina.
Dopo questa lunga, intensa, panoramica, possiamo finalmente tirare le somme. Trovando una risposta alla domanda che ha scatenato tutto: Pokémon è un prodotto sessista?
In teoria sì, in pratica molto meno di parecchi altri prodotti della cultura di massa, inclusi quelli rivolti ai bambini. Se infatti abbiamo parecchi esempi in grado di farci storcere il naso, vanno riconosciuti alla saga i suoi numerosi tentativi di dare alle figure femminili una rappresentanza dignitosa e intellettualmente onesta. Tenendo conto, inoltre, che alcuni degli episodi più scomodi riguardano una fase di Pokémon conclusa da tempo.
Ad essere il più esplicito (e il meno equivocabile) possibile, mi preme sottolineare che Pokémon nel suo serpeggiante sessismo non offende nessuno, perlomeno intenzionalmente. Gioca molto con gli stereotipi, si concede scivoloni (come quello dei Professori quasi tutti maschi) senza implicare nulla di più, risultando soprattutto una parodia della società umana, in particolare giapponese.
Ma giustificarlo ci toglie il diritto di osservare tutte le sbavature di questo franchise? Assolutamente no. Ed è qualcosa che non dobbiamo mai stancarci di fare, in qualsiasi ambito.
Anche quello all’apparenza più innocuo.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.