Chiunque segua la scena competitiva di Pokémon lo sa bene: l’Italia è uno dei punti di riferimento a livello internazionale. Da Arash Ommati in poi il nostro paese ha cominciato a coltivare in termini quasi professionistici una generazione di giocatori capace di farsi strada nelle competizioni che contano, e come lo stesso Arash ci confermò un anno fa l’Italia ha talento da vendere quando si parla di giocare a Pokémon. A dare ulteriore prova che questi discorsi non sono puro sciovinismo ci pensa Simone Sanvito, vincitore lo scorso 19 novembre dei Campionati Internazionali Europei di Londra e tra i top player più seguiti dagli appassionati.
Il trionfo giunge dopo una finale combattuta contro lo spagnolo Alex Gomez, altro grande nome della scena, grazie a un 2-1 arrivato dopo la sconfitta iniziale del nostro Simone. Un ribaltamento realizzato grazie a tecnica e padronanza del formato, soprattutto di due mostriciattoli chiave del VGC 2017: Garchomp e Ninetales di Alola. Partendo da questa vittoria, culmine di una delle carriere più brillanti del settore, Johto World ha posto qualche domanda a Simone Sanvito per capire qualcosa di più su di lui, la sua visione del gioco e lo stato attuale di Pokémon.
Buona lettura.
Johto World: Come nasce il Simone Sanvito giocatore di Pokémon? E quello appassionato di competitivo?
Simone: Ho incominciato a giocare a Pokémon quando avevo circa sei anni: mio cugino mi regalò la cartuccia di Pokémon Rosso. Conoscevo il cartone senza però sapere dell’esistenza dei giochi, e rimasi molto stupito dalla componente “cattura e usa ciò che trovi” (ricordo la contentezza quando, dopo aver tirato una Poké Ball a un Rattata, me lo ritrovai in squadra, senza la minima idea di cosa avessi fatto), continuando a giocare per parecchio tempo. A nove anni ho cominciato ad essere attivo nelle comunità sul web, conoscendo così parecchia gente: Diamante e Perla erano usciti da poco e sfruttando la funzione online di quei giochi sfidavo e battevo il mondo col mio super team, il classico mix di Charizard e leggendari. Un giorno trovai il post di un utente che faceva riferimento a EVs, IVs, nature e via dicendo; pensai subito che si trattassero di baggianate, e lo sfidai più volte con la mia squadra. Non ne vinsi una. Nonostante la batosta continuavo a trovare l’aspetto tecnico troppo complesso e dispersivo: solo quando uscirono Nero e Bianco, io ero in terza media, riuscii a interessarmi seriamente grazie a un amico che mi aveva introdotto a Pokémon Online, il “papà” del simulatore di lotte online Pokémon Showdown. Da lì in poi non ho più smesso.
JW: Quali aspetti ti interessano di più, in generale, del metagame di Pokémon?
S: Del cosiddetto “lato competitivo del gioco” mi piace semplicemente giocare, conoscere cose nuove e migliorarmi, cercando soluzioni ad alcuni problemi che si possono rivelare giocando.
JW: Ci sono grandi aspettative per il titolo principale di Pokémon in arrivo su Nintendo Switch: tu cosa ti aspetti?
S: Ho letto varie notizie riguardo al gioco su Switch, che dicono romperà “i canoni” della serie, ma cosa significa esattamente? L’unica volta che hanno fatto qualcosa del genere è stata con la saga di Alola, e la rottura col passato è stata togliere le palestre e riproporle semplicemente con un nome diverso. Penso che si ritornerà a Kanto, ma non so cos’altro aggiungere ora come ora. Spero, ovviamente, in un bel gioco.
JW: A proposito di rompere col passato, se nei prossimi titoli Game Freak facesse cambiamenti clamorosi sul fronte lotte (esempi molto rozzi: tutte le mosse sono infallibili, il danno è sempre fisso) saresti favorevole? Se sì, ne avresti in mente qualcuno?
S: Domanda interessante. Quando mi chiedono che cambi vorrei in Pokémon, penso sempre al lato RNG (random number generator, ossia il generatore di casualità che decide tra le altre cose se un Pokémon è paralizzato o meno, se una mossa fallisce e via dicendo n.d.a.). Molta gente sostiene che il fattore fortuna impedisca al gioco di diventare un e-sport a tutti gli effetti; che sia vero o no, ritengo che la gestione dell’RNG sia un’abilità necessaria nel giocatore che vuole ottenere risultati costanti. A tal proposito mi piacerebbe vedere certe meccaniche ridisegnate in un passaggio su Switch: i brutti colpi sono neccessari, ad esempio, ma i tentennamenti sono tra gli aspetti tecnici peggio calibrati. Un’altra cosa che vorrei vedere con un passaggio su nuova console è l’introduzione di un teambuilder nel gioco, un Pokégen legale che mi permetta di creare da zero una squadra competitiva, anche col pagamento di un abbonamento annuale; penso che molti giocatori spenderebbero volentieri cinque euro all’anno per una funzione del genere. Trovo inconcepibile spendere ore per avere un team da torneo nel gioco, soprattutto quando si parla di leggendari: le vere abilità di un allenatore si misurano sul campo da battaglia e un teambuilder aiuterebbe moltissime persone ad avvicinarsi al competitivo, il che a mio avviso non sarebbe un male.
JW: C’è un Pokémon che secondo te ha potenziale a livello competitivo, ma a cui manca quel qualcosa che gli permetterebbe di farsi notare?
S: Leggendo questa domanda mi viene in mente Incineroar, che con la sua Abilità Nascosta (Prepotenza) diventerebbe molto forte. Da generazione a generazione alcuni Pokémon subiscono cambiamenti che li rendono da ingiocabili a fortissimi: si può fare l’esempio delle Mega e di Pelipper, Torkoal e Gigalith, un terzetto che ha ricevuto nuove abilità in questa generazione facendoli rivalutare dopo anni nei bassifondi. Molte volte basta una nuova abilità o una nuova mossa per cambiare completamente la percezione di un mostriciattolo: penso che nel 2010 tutti avrebbero riso a pensare a cosa sarebbe diventato Kangaskhan nel giro di pochi anni.
JW: Come costruisci una squadra da torneo, come quella che ti ha permesso di vincere gli Internazionali di Londra poche settimane fa?
S: Un team competitivo, solitamente, lo creo scegliendo le combinazioni di Pokémon che mi sembrano forti e che, testandolo a lungo, modifico e adatto. Lavoro spesso assieme ad altre persone, discutendo e costruendo team, secondo me un passaggio chiave per fare bene. Tutti i giocatori con un buon curriculum hanno alle spalle del lavoro di gruppo nella fase di creazione delle loro squadre, e il 2016, l’anno col cui formato ho iniziato davvero a farmi conoscere, è stato anche il primo in cui ho lavorato seriamente con altre persone.
JW: OItre a Pokémon, quali sono i tuoi videogiochi preferiti?
S: Oltre a Pokémon non gioco a molto altro, specialmente targato Nintendo: nel corso della mia vita ho provato tra gli altri Zelda, Mario e Smash, senza mai approfondirli.
JW: Cosa ne pensi della settima generazione di Pokémon, capace come poche altre di spaccare gli appassionati?
S: La settima generazione non mi è piaciuta affatto. Avevo grandi aspettative per Sole e Luna e ne sono rimasto deluso: trama lineare, noiosa, nessun postgame. Senza dimenticare le Ultra Creature relegate dopo la Lega e catturabili nell’erba alta come fossero dei Rattata, dopo che al loro annuncio ci erano state vendute come boss temibili. Mi ha deluso soprattutto il potenziale sprecato di questi giochi: una regione-arcipelago era una cosa inedita nella saga (quantomeno, come scenario per la storia principale) e non è stata sfruttata a dovere, con isole piccole e scarne. I personaggi, nonostante tutto, sono piacevoli, partendo dagli ottimi Guzma, Kukui, Gladion e Lusamine, arrivando ai meno riusciti Lillie e Hau, ed è un peccato che la trama non li abbia fatti brillare. Il Team Skull mi è piaciuto, con il suo stile e le sue musiche stupende, così come il fatto che per la prima volta dai tempi del Team Rocket fossimo di fronte a cattivi verosimili: alla fine gli Skull sono solo un gruppo di vandali punk, se così vogliamo chiamarli, con un capo ambizioso che ha visto i suoi sogni infrangersi. Dall’altra parte Ultrasole e Ultraluna, a dirla tutta, non mi sono dispiaciuti. Al di là della parte narrativa, praticamente identica a Sole e Luna, sono buoni giochi, con Lusamine completamente trasformata come personaggio, Necrozma finalmente con un senso, oltre ovviamente all’episodio Rainbow Rocket, per me riuscitissimo. Sono anche piuttosto difficili, cosa che ho apprezzato molto. In conclusione, rispondendo alla tua domanda, a livello di giochi la settima generazione non mi è piaciuta, esclusa quella parentesi di gioco di un paio d’ore che differenzia Ultrasole e Ultraluna dai predecessori.
Si conclude così la nostra intervista a Simone Sanvito, oggi più che mai uno dei giocatori europei di Pokémon (e possiamo dire del mondo, dato che la sua vittoria agli Internazionali gli ha permesso di staccare un biglietto per i Mondiali del 2018) da tenere d’occhio. Se volete conoscerlo di persona vi ricordiamo che il 23 dicembre 2017 sarà ospite d’onore a Pokémon Christmas, l’evento organizzato da Johto World e Pokémon Central in quel di Vigevano, a due passi da Milano: qui trovate tutti i dettagli.
Nel frattempo aspettiamo di sapere la vostra, come sempre, nei commenti.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.