Il 13 gennaio 2022 i server dei giochi Halo per Xbox 360 sono stati ufficialmente chiusi. Per me, che sono un grande appassionato della saga, questo è stato un evento drammatico che racchiude un tornado di emozioni. Ma si sa come va la vita, nulla dura per sempre. Le cose, le persone, i sentimenti: arriva una fine per tutto, no? Questa notizia non è stato un fulmine a ciel sereno, anzi, si sapeva da tempo. Ma i traumi non sono immediati e, come la riabilitazione che ne deriva, hanno bisogno di tempo per essere metabolizzati. È come quando ti lasci con il tuo partner: all’inizio reggi bene, ti senti pronto e non la vivi nemmeno troppo male. Poi subentrano i ricordi, le emozioni che hai provato, tutte le storie belle che avete vissuto e ripensi con dolcezza anche agli screzi più infantili. La situazione diventa pesante e piano piano la tua mente si logora. Il passato diventa presente, tu non sei più lo stesso ma hai la consapevolezza che, se sei diventato la persona che sei adesso, è merito di qualcosa (o qualcuno) che ti ha dato la silenziosamente la forza di andare avanti. Quel giorno, il 13 gennaio 2022, ho capito che la parte più importante di me non tornerà più.
In occasione della chiusura dei server, tutta la community di Halo ha riacceso la sua Xbox 360 per dare l’ultimo saluto a quella che, per molti, è stata un’ancora di salvezza.
In questo mondo volto sempre all’eccellenza spesso perdiamo di vista la normalità, la quotidianità. In quanto essere umani, siamo propensi a dimenticarci di essere tali. Troviamo la nostra comfort zone, una cerchia di amici fidati, crescendo troviamo un lavoro e indirizziamo quasi obbligatoriamente la nostra vita su binari già definiti. Non siamo tutti bravi allo stesso modo, né a giocare né a vivere, eppure dobbiamo tenere sempre a mente che la nostra vita è fondamentale per quella degli altri. Che siano due, tre, dieci, cento o mille persone, i nostri gesti creano catene ed effetti farfalla sul mondo intero e l’impatto della nostra personalità può essere devastante sulla crescita di chi ci sta intorno. Far parte di una community è anche questo: supportare perfetti sconosciuti come se la loro vita dipendesse da te e fare di tutto pur di aiutarli a raggiungere il loro obiettivo, che sia comune o meno. Giocare non è solo “ho fatto più punti”, “ho vinto, sono più forte” o “guarda, ho un sbloccato un obiettivo che tu non hai” . Giocare significa far parte di una famiglia di sconosciuti di cui non sai niente ma che difenderai fino alla morte. E non ti importa perché.
Il giorno che capiremo che i nostri nemici possono essere nostri amici vivremo in un mondo migliore.
Sono sempre stato bravo in tante cose ma non sono mai stato in grado di eccellere in nessuna, tranne Halo. In Halo ero più forte di tutti i miei amici e spesso arrivavo primo anche online ma non mi sono mai sentito “migliore”, così come ho visto tante persone giocare meglio di me e non mi sono mai sentito “peggiore”. La community di Halo non è mai stata tossica e, anzi, mi ha sempre aiutato senza mai saperlo. Difficilmente troverete gente che si lamenta urlando su YouTube e saranno davvero pochi quelli che gireranno per il web vantandosi apertamente dei loro risultati e questo, secondo me, dipende molto anche da Bungie: lo studio dietro alla saga originale si è sempre rivelata molto sincera, diretta e simpatica con i fan, con la stampa e con chiunque interagisse con loro. Anche quando le cose non andavano bene, la prendevano sempre con una risata. Alla fine è un gioco, no? Il prossimo andrà meglio. E noi fan non abbiamo mai alzato i toni. Nel corso degli anni si è venuta a creare una relazione di amicizia implicita con chiunque avesse una passione con Halo e, senza indugiare oltre, bastavano due partite per sentirsi parte di una famiglia.
Una squadra blu, una squadra rossa ed il resto vien da sé. Niente microtransazioni e niente abbonamenti. Quando un gioco viene fatto con il cuore, come tutte le cose di questo mondo, è inevitabile che gli altri, prima o poi, gli diano il loro.
L’uomo è un animale sociale ma questo non significa che ognuno sia portato ad esserlo. Molte persone hanno difficoltà a relazionarsi, ad esprimersi, a parlare, ad interagire con il mondo. Il videogioco, in quel trambusto generato dalle problematiche personali, può rivelarsi una via di fuga fondamentale per lo sviluppo di una persona, grande o piccola che sia. Giocare ad Halo mi ha permesso, nel corso degli anni, di interagire (anche solo passivamente) con migliaia di perfetti sconosciuti e provare una grande empatia nei loro confronti, che passava da tantissimi piccoli gesti che mi davano speranza nel mondo e, soprattutto, affetto. Qui arriva il vero punto focale di quello che voglio dirvi oggi: trovarsi a condividere una passione con degli sconosciuti può essere incredibilmente terapeutico. Basta puntare al massimo, accontentiamoci della mediocrità. Ricordiamoci che siamo essere umani e che la vita si costruisce assieme, non su una pila di disgrazie altrui. Impariamo a goderci il solo fatto di esserci, tra le mille variabili e casualità del momento. Giocare con persone che non conosci e che non conoscerai mai, seppur nascondendolo tra sparatorie, combattimenti e gare su veicoli alieni, ti costringe ad aprire il tuo cuore con chi non lo merita. Perché quella persona con cui stai giocando, distante magari 25000km, non ha fatto nulla per meritarsi la tua stima o la tua comprensione ma a te, così come a lui, non interessa: viene quindi a crearsi un ricambio di affetto implicito che, forse, solo in un videogioco può crearsi. Se è plausibile che questo scambio di intenti empatici sia relegato all’ambito videoludico, non è da escludere che, con un po’ di impegno, tutti possiamo sempre migliorare e ricordarci di splendere sia per noi ma soprattutto per chi ci sta intorno. Non importa il come, il dove, il perché o il quando: ricordiamoci come si sorride, così che quando verrà il momento di piangere non saremo soli.
Talvolta, i videogiochi sono semplicemente più grandi delle persone.
Per diverse circostanze, non sono riuscito a salutare i vecchi Halo per l’ultima volta. In realtà, con un po’ di impegno avrei potuto ma ho deciso di non farlo: ho pensato che evitare di darci peso mi avrebbe aiutato a superare questo dolore. Mi sbagliavo. Ora la mia mente è invasa di ricordi della mia adolescenza, quando odiavo indistintamente tutto e tutti e le mie giornate vedevano alternarsi solo lo studio (con pessimi risultati) e Halo: Reach. Dopo una lunga e tortuosa riabilitazione personale, che non è ancora terminata e non so nemmeno se terminerà mai, posso dire una cosa: se non ci fosse stato Halo, non so se ce l’avrei fatta. Anche solo da un punto di vista ludico, avere un videogioco come valvola di sfogo quotidiana può essere un enorme vantaggio per chi ha problemi a gestire la propria personalità, che come si sa nel periodo del liceo può causare danni irreparabili. Halo, e più nello specifico Halo: Reach, è stato per me un dono, qualcosa di eterno che non se ne andrà mai da ciò che sono, un fattore di sviluppo che ha espulso piano piano le tossine che avevo nel corpo e mi ha purificato. Immedesimarsi in qualcosa di non reale, incontrare persone online, creare contenuti e generare continui stimoli insieme ad altri giocatori mai visti prima è qualcosa di incredibilmente bello e, a posteriori, anche commovente. È paradossale da dire ma il videogioco è un contenuto virtuale che può migliorare la vita delle persone e, se dobbiamo capirlo tramite un insieme di dati e codici, significa che stiamo messi male. Smettiamola di barricarci dietro vite false e di obbedire a costrizioni sociali che vediamo come obbligate, quando l’unico obbligo che abbiamo è quello di essere noi stessi anche (e soprattutto) nelle difficoltà. Iniziamo a vivere per davvero, che tanto, in realtà, ci vogliamo tutti bene. Anche se non ho dato il mio contributo quella sera, so che tutti hanno dato l’anima anche per me senza nemmeno sapere chi sia. Halo mi ha cambiato la vita? No. Ha fatto di meglio: l’ha fatta cambiare a me.
Better together.
Questo è (quasi) tutto quello che avevo da dire e ora mi sento più leggero e consapevole. Spero che, in un futuro il più prossimo possibile, anche gli altri comprendano l’importanza di sentimenti basilari come la cooperazione ed il rispetto, che ormai sembrano fattori da vincolare alle fasi infantili dello sviluppo in favore di componenti più competitive. Può essere la scelta giusta, può essere la scelta sbagliata, ma penso che chiunque debba fare un passo indietro e dare un grosso abbraccio al mondo. Un ringraziamento speciale a Matt Walters e John Richwine (via Halo Plasmposting), che hanno condiviso queste fotografie delle loro ultime partite appena prima della chiusura dei server, e a tutti quelli che si sono impegnati per un’ultima volta ad onorare loro stessi nel più sincero divertimento, come i videogiochi ci hanno insegnato a fare da sempre. E come disse il Sgt. Johnson: “Send me out with a bang.”
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Sì ok tu sei cinturanera però io sono un ’97 con ben pochi interessi nella vita e non esattamente contento di respirare. Sfogo la mia rabbia repressa contro Alola e Hidetaka Miyazaki.