Mi è sempre piaciuto vedere il progredire della Storia come un’elevazione. La pianura che diventa collina, la collina che diventa montagna, questo genere di cose. E più ci si alza, più il passato, rimasto a valle, diventa chiaro e facile da mappare. Pokémon, saga videoludica immensa che da vent’anni fa sentire il suo ruggito dai mille volti, ha raggiunto una nuova vetta con Pokémon Sole e Luna. La stessa vetta del Monte Lanakila, dal quale si può osservare per intero la splendida regione di Alola. Ma questa vetta è meritata, o è stata raggiunta per inerzia? A un mese dalla loro uscita credo si possa già trovare una risposta.
In un primo momento la recensione che state per leggere era stata pensata molto diversamente. Doveva essere un lungo ed elaborato paragone con Linea Gotica, disco fulminante dei C.S.I. pubblicato in Italia nel anno di grazia 1996, lo stesso in cui dall’altra parte del mondo nasceva il fenomeno Pokémon. Ho lasciato perdere per evitare di rendere questo articolo una lunga masturbazione intellettuale, e perché se siete qui non è per leggere critica musicale spiccia, ma il mio parere su Pokémon Sole e Luna. C’è però un dettaglio che vorrei far rimanere, ossia la visione di Pokémon Sole e Luna come una Linea Gotica che demarca due epoche diversissime di Pokémon. E per dimostrarlo partiamo dalla regina di questi giochi: la regione di Alola.
La divisione fa la forza
Quando, era lo scorso maggio, furono svelate le prime immagini di Alola, c’era qualcosa che non mi tornava. Quel qualcosa era il fatto che la regione fosse “a pezzi”; trattandosi infatti di un arcipelago, come tutti ben sappiamo ispirato a quello delle Hawaii, era solo naturale che si fosse di fronte a una manciata di isole. Il problema è che era qualcosa mai fatto prima da Pokémon: l’unico altro arcipelago affrontati nei titoli principali era il Settipelago, negli splendidi Rosso Fuoco e Verde Foglia. All’epoca funzionò in maniera impeccabile, soprattutto perché era il teatro del postgame, il gioco oltre il gioco, quando batti la Lega e temi di doverti girare i pollici. Tanti isolotti, e il costante avanti-indietro che costringono a fare, non diventano un problema quando non c’è più una trama da seguire e un obbiettivo ben preciso da raggiungere. Quando però, con Pokémon Sole e Luna, questo tipo di gameplay torna ad affacciarsi, il timore c’è. Sentiremo la mancanza di un unico, grande blocco di terra da esplorare, unito in una rete di città e Pokémon? Il gioco intero non rischia di essere “a singhiozzo”, per i bruschi cambiamenti che ci obbligherà a fare?
La risposta è no.
Il motivo per cui l’arcipelago di Alola funziona alla perfezione, non intralciando in alcun modo il gameplay nella sua frammentazione, è dato dal fatto che Game Freak ha fatto di tutto per attutire il problema. Per cominciare abbiamo quattro isole, non sette, e ciascuna di esse ha una personalità fortissima grazie alla miriade di luoghi da esplorare. Quasi a celebrare l’intera saga, così come a modo loro le Hawaii celebrano nella loro mescolanza la cultura umana, incontreremo luoghi familiari anche se non li abbiamo mai visitati prima. Come non citare la splendida Malie, lettera d’amore alla regione di Johto, o Hau’Oli, nella sua imponente semplicità un miscuglio riuscito tra Austropoli e Zafferanopoli. O l’Altare Solare, quasi ad echeggiare la Torre Dragospira di Unima nel suo misticismo. Ma c’è spazio anche per luoghi unici e capaci di rafforzare l’identità di Alola, come il villaggio di Ohana, piovuto dal Vecchio West, o il Tempio della Vita, con quello splendido retrogusto zeldiano.
In altre parole i posti da vedere ad Alola non mancano, e se affrontato con la dovuta calma il gioco vi regalerà almeno una decina di ore per ciascuna isola, soprattutto nelle prime tre. L’ultima, Poni, pur nelle sue dimensioni ridotte fa da splendido contraltare alle prime tre isole, con una forte presenza umana, opposta qui alla natura più selvaggia. Ma la mano dell’uomo, seppur presente, è rispettosa come mai prima in Pokémon: il confine tra insediamenti e natura è labile, e già dalla cartina vista a maggio si faceva fatica a distinguere le linee di demarcazione tra un luogo e l’altro, con una spontaneità che vi mozzerà il fiato più di una volta.
Fedeli alla linea(rità)
Dai tempi di Nero e Bianco, e ancora con XY, una critica ricorrente ai giochi Pokémon è stata quella della linearità. Scelta consapevole di Game Freak, dopo una finta non-linearità nella Sinnoh di Diamante e Perla mal recepita dal pubblico, in molti temevano di rivederla in Sole e Luna. È presente? Sì, ma in maniera molto più intelligente che in passato.
La regione di Alola non delude chi ama l’esplorazione, chi ama scoprire anfratti nascosti, chi in poche parole vuole fare qualcosa di più che seguire una linea retta. Ma allo stesso tempo questa linea retta ve la fanno seguire senza sgarrare. Com’è possibile? Con un level design ragionato. In altre parole vi ritroverete in diversi punti del gioco bloccati dalle cosiddette “Barriere del Capitano”, veri e propri sbarramenti che vi impediranno di proseguire finché non batterete il relativo Capitano. Questa misura coercitiva può infastidire il giocatore, ma risulta sensata come mai prima in Pokémon. Vogliamo parlare di Rosso e Blu, nei quali vi bloccava la strada… una guardia assetata? Ecco.
Ma smaltiti questi sbarramenti, le isole di Alola vi offrono decine di anfratti da raggiungere grazie ai Pokémon del Poké Passaggio o semplicemente con un occhio attento. In molti, per dirne una, sono usciti pazzi per accedere alla baia nascosta dell’Isola Mele Mele. Ed è questo che Pokémon non offriva da tanto tempo: avventura, incredibilmente amalgamata coi dettami (non condivisibili, lo ammetto) di una storia che deve proseguire su binari ben fissi.
Bellocchio Selvaggio
E parliamone, di questa storia. Ambiziosa, emozionante, folle. Se anche solo cinque anni fa vi avessero detto che un gioco Pokémon vi avrebbe fatto
1) cavalcare un leone, nato dal nucleo di una stella, in grado di attraversare le dimensioni,
2) per salvare la madre mentalmente instabile della vostra migliore amica
3) che nel tentativo di vendicare una tragedia famigliare decide di fondersi con esseri alieni direttamente nel loro universo,
ci avreste creduto? Io sicuramente no. Ma ho giocato un gioco così ed è riuscito a farlo funzionare in maniera impeccabile. Pensando ai personaggi di Pokémon Sole e Luna mi torna in mente la definizione di un critico letterario che paragonò I detective selvaggi, capolavoro di Roberto Bolaño, a uno stadio, per tutti i protagonisti che entrano ed escono costantemente dalla situazione. Ad Alola succede la stessa cosa: abbiamo una miriade di donne e di uomini che si riciclano costantemente sulla scena, e incredibilmente tutti quanti si ritagliano uno spazio, tutti quanti definiscono le proprie personalità (stereotipate, ma Pokémon fa le cose un passo alla volta), tutti quanti partecipano di un disegno più grande che è la trama ambiziosa di questi due giochi.
Sempre parlando di storia, due grosse parentesi sono doverose: una dedicata al Team Skull e un’altra alla Fondazione Æther. Il Team Skull ha un pregio enorme: fa satira del proprio ruolo. Questa autoconsapevolezza, questo sfondamento della nota quarta parete se vogliamo, si riflette nell’atteggiamento degli abitanti di Alola, fin dall’inizio poco inclini a prendere sul serio una banda di cattivi che non è mai davvero cattiva. Non era mai accaduto in un gioco Pokémon che gli antagonisti fossero ridicolizzati, che nessuno si prendesse un po’ di strizza a pensare a quello che potrebbero fare se lasciati a piede libero. E il Team Skull, più che prendersela un po’, non fa. Il punto è che il Team Skull non deve essere malvagio: quello è il ruolo della Fondazione Æther. E anche questa, nella sua ben più palese malevolenza, stupisce: non sono tutti cattivi, nessuno vuole punirli, e soprattutto non fanno un prevedibilissimo voltafaccia. Li incontriamo come un WWF in salsa Pokémon, li salutiamo come un WWF in salsa Pokémon con forti legami governativi. La malvagità di Samina aveva giustificazioni molto dolorose, e nessuno (FINALMENTE) vuole dominare il mondo o rubare qualcosa. Il Team Skull cazzeggia, la Fondazione gioca a fare la loggia massonica, coprendo attività illecite sotto ineccepibili buone azioni.
E questo, se non è innovativo, non può essere definito in altro modo.
A.K.A.B (All Kahunas are beautiful)
Un ultimo grande nodo, discutendo di Pokémon Sole e Luna, è quello dato dalle figure di autorità. Uno dei problemi storici di Pokémon è che non ha mai saputo cosa farsene di Capipalestra e Campioni: tolto Lance in Oro e Argento e Camilla in Diamante e Perla, li avevamo sempre visti nella loro stanza ad aspettare pigramente il nostro arrivo. Aggiungiamoci Adriano in Pokémon Smeraldo, nemmeno un titolo principale, e il quadro è completo.
Tutto cambia con Pokémon Nero e Bianco: ogni capopalestra ha la sua identità ben definita, interagisce con la regione in cui vive e col giocatore come mai prima di allora. I fan apprezzano, ma in XY c’è una regressione molto forte, con l’eccezione di Ornella e il suo Lucario. Pokémon Sole e Luna si fanno coraggio e ci presentano i Capitani e i Kahuna in molteplici situazioni, spesso comiche, tutte utili a un grande proposito: inserirli in modo naturale nell’ambiente che abitano. Ed è questo che rende ancora più vibrante la personalità di Alola, che non ha solo mille anfratti, mille voci, mille storie, ma anche dei personaggi simbolici che rappresentano lo spirito della regione fattosi carne. Sappiamo che Alyxia ha un negozio di pietre preziose, incontriamo Kawe e Suiren durante la prova di Ibis, ci imbattiamo in Rika in un contesto assolutamente non convenzionale.
In poche parole Alola è viva, e abbiamo mille volti pronti a ricordarcelo.
E c’è un episodio che merita di essere discusso, per la sua importanza all’interno di quello che è lo spirito della saga. Sto parlando del ben noto Hiker David, quello che spunta durante la prova di Kawe. È qui che si trova la chiave di Pokémon, fedele come non mai a se stesso pur nel suo costante rinnovamento: un momento puramente “silly” (“stupido” suona male), gradevole e spassoso riesce a dimostrare che Pokémon non vuole mai prendersi troppo sul serio. Ricordandoci nello stesso momento che le potenzialità per una lettura più profonda, più alta, ci sono – la danza dei Marowak è a dir poco solenne.
Tutto sta, come sempre, nell’occhio di chi guarda.
Ufficio reclami
Pokémon Sole e Luna hanno i loro difetti. Per cominciare di natura prettamente grafica: tutti noi siamo rimasti a dir poco delusi dagli scontri coi Pokémon Totem, con quell’imbarazzante calo del framerate. Stessa cosa con le Lotte in Doppio, dimostrando una volta di più che Nintendo 3DS è una console obsoleta e decisamente fuori forma nel 2016. Per il resto, però, i giochi reggono bene, con panorami mozzafiato resi nella maniera più dettagliata possibile accompagnati da una delle migliori colonne sonore dell’intera saga. Il problema, mettiamolo in chiaro, non è la grafica limitata: è quando la grafica È limitata, discorso ben diverso. E più volte si ha la sensazione che il 3DS soffochi Sole e Luna.
Altro difetto, ormai cronico, è un postgame ridotto ai minimi termini. È vero, Alola è grande e nasconde molti segreti, ma se non vi interessa completare il Pokédex la regione non ha molto altro da offrirvi. L’Albero della Lotta è interessante, ma ha più il sapore di un contentino posticcio (e questo sì, nostalgico in modo rozzo) nell’attesa che Pokémon Stars espandano il discorso.
E di cose da espandere, in Pokémon Sole e Luna, ce ne sono a bizzeffe. Non solo si apre un portone addirittura a dei sequel di Pokémon Rosso e Blu, come ne ho parlato qui, ma anche a dei seguiti ambientati direttamente ad Alola. Per far notare un solo dettaglio, forse il più clamoroso, sparsi per la regione ci sono diversi spiazzi con qualche asse di legno. Sicuramente luoghi in cui sarà costruito qualcosa, e probabilmente in un futuro molto vicino.
Ultima vera nota dolente la caccia alle Ultracreature, proposta in maniera eccessivamente forzata: non stiamo parlando di leggendari, badate bene, ma comunque di Pokémon rari. Si è ben lontani dagli imbarazzanti livelli di Rubino Omega e Zaffiro Alpha, con sua maestà Lati@s regalat@, ma in ogni caso un inserimento migliore, meno compresso, non avrebbe fatto male.
In conclusione
Concludendo, cosa dobbiamo pensare di Pokémon Sole e Luna?
Che si inseriscono in quel canone della saga fatto da giochi eccellenti, con un cuore grosso così e una storia, una vera, da raccontare. Non sono perfetti, e sono sicuramente più imperfetti del tentativo ad oggi migliore da parte di Pokémon di esserlo, con Oro HeartGold e Argento SoulSilver, ma non per questo dobbiamo sminuirli. Portano sulle loro spalle un peso enorme, quello di essere giochi commemorativi di uno dei più grandi prodotti della cultura popolare di sempre, e riescono a non farsi schiacciare da questo. Non sono un carrozzone nostalgico, ma rispettano le loro origini cercando di spiccare il volo.
E questa Linea Gotica, che abbiamo appena oltrepassato, sembra prometterci cose meravigliose.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.