È stata da poco pubblicata su DDay.it una intervista a Stefano Calcagni, Head of Marketing di Nintendo Italia: i temi affrontati sono stati Nintendo Switch, la situazione del mercato videoludico attuale, lo sviluppo delle IP di Nintendo e gli sviluppatori e infine la percezione del videogioco in Italia. Eccone un interessante estratto.
DDAY.it: La pandemia e la diffusa adozione del lavoro da remoto hanno rallentato lo sviluppo dei videogiochi. Quanto e come hanno influenzato il cronoprogramma degli annunci di Nintendo?
Stefano Calcagni: Per quanto riguarda la produzione dei videogiochi, poco compete alle singole country come l’Italia, quindi non abbiamo una visibilità chiara delle roadmap e dei ritardi che possono aver avuto. Da annunci ufficiali, sappiamo che alcuni piani sono stati rinviati. La pandemia ha avuto un impatto sull’annuncio di alcuni software. Sembra che quest’anno le cose siano tornate in carreggiata, quindi non sembra che ci siano più ritardi. Nintendo ha nel suo DNA una riservatezza estrema, quindi anche le singole country vengono aggiornate nella vicinanza dell’anno.
DDAY.it: Dei giochi che Nintendo ha venduto in Italia nel 2020 quanti sono stati digitali e quanti pacchettizzati?
Stefano Calcagni: È difficile stabilire dei numeri precisi perché Nintendo, da questo punto di vista, è sempre stata più tradizionale se vuoi rispetto ad altri attori sul mercato, quindi più legata al canale fisico. Nel 2020 c’è stata una grande crescita del digitale, in tripla cifra. Una quota molto importante. Per Nintendo è importante salvaguardare il mercato del fisico perché è quello che più parla al mass market e al pubblico che più interessa a Nintendo, cioè le famiglie, i ragazzi, i giovani adulti. Riesce ad avere dei punti di contatto molto forti. Il digitale, per quanto si stia diffondendo e porti a conversioni più importanti, parla a qualcuno che è già un fruitore del videogioco. A Nintendo interessa parlare anche a un pubblico nuovo e allargare il mercato del videogioco, quindi il canale tradizionale è fondamentale.
DDAY.it: Per la prima volta, nel 2020 il consumo di videogiochi in Italia ha superato i 2 miliardi di euro. Sicuramente il prolungato periodo speso in casa ha contribuito. Sarà possibile sostenere un tale livello anche per il 2021 oppure il prossimo anno potremmo persino parlare di un calo su base annua dopo dodici mesi meno anomali dei precedenti?
Stefano Calcagni: Difficile parlare di mercato avendo una visione parziale. L’anno scorso è stato sicuramente molto importante a livello di sistema dell’intrattenimento che hanno accolto la domanda di intrattenimento nelle case. Come Nintendo, abbiamo visto che la forte diffusione ha agevolato il passaparola, che è il canale di comunicazione più importanti di tutti: se un amico o un familiare ti suggerisce un gioco o una console, è l’aspetto più forte di tutti. Questa diffusione durante il periodo di pandemia ha creato un forte accreditamento su alcuni tipi di pubblico che prima erano meno consapevoli.
Ciò che vediamo dai primi segnali di quest’anno è che siamo in crescita. È presto per dirlo, ma quest’onda porterà il mercato a crescere ancora. Il videogioco viene ancora più riconosciuto come un sistema di intrattenimento di valore.DDAY.it: Parliamo di un mercato italiano da 2 miliardi di euro, ma la sensibilità del videogioco come industria è ancora bassa specialmente se pensiamo che vicino abbiamo mercati più evoluti come Francia, Regno Unito e Germania. Nintendo come si muove in Italia per aumentare la sensibilità percepita?
Stefano Calcagni: Francia, Germania e Regno Unito sono un passo avanti ai Paesi mediterranei. L’Italia ha sempre dimostrato una forza maggiore quando il videogioco ha iniziato a parlare alla famiglia. Per molto tempo, l’Italia è stato un Paese, e non parlo solo di Nintendo, di estrema nicchia per il videogioco. Il cambio di passo è stato segnato da Wii. Lì il videogioco è entrato nelle case di tutti. La console lasciava le camere dei bambini ed entrava in salotto a fianco del lettore DVD.
Console diverse hanno performato sempre bene, ma rivolgendosi sempre al pubblico dei gamer. Adesso è il momento di Nintendo Switch perché sta ripercorrendo il percorso fatto da Wii, questa volta partendo dai giocatori, non come Wii che ha allargato subito, e andando a parlare sempre di più a un pubblico trasversale. L’anno scorso quasi il 50% dei nuovi utenti [di Nintendo Switch] erano ragazze, cosa che erano totalmente impensabile qualche anno fa.
DDAY.it: Recentemente, il presidente di Nintendo, Shuntaro Furukawa, ha insistito che oltre alle sue storiche serie, come Super Mario e The Legend of Zelda, la società debba puntare su nuove proprietà intellettuali. Però le console Nintendo sono strettamente legate alle sue IP più longeve. Come conciliare le due necessità: rinnovare e allo stesso tempo massimizzare le potenzialità commerciali delle IP più popolari?
Stefano Calcagni: In una forte concentrazione di tempi e obiettivi. Se hai seguito la storia di Nintendo, sai che qualche anno fa a Kyoto sono stati fusi i centri di sviluppo di software e di hardware. Anche la scelta di andare su un’unica console (Nintendo Switch) e di non avere più una domestica e una portatile è stato un modo per concentrare le energie e sviluppare un unico sistema dell’intrattenimento.
Nintendo ha sempre ribadito di non voler tradire il valore dei suoi brand, come Super Mario e Pokémon, che raccontano il DNA dell’azienda. Nintendo li tutela al punto che, negli anni, ha rinunciato a grandi opportunità di margini e fatturato per tutelare il brand. Nintendo è entrata nel mondo del licensing da poco proprio perché aveva paura di poter tradire quella che è la natura e l’integrità dei suoi brand.
Come ogni azienda ha bisogno di innovare. Ogni generazione stravolge la generazione precedente anche prendendosi dei rischi importanti, i controller, per esempio, vengono ripensati da zero. Così come l’hardware c’è bisogno di inventare qualcosa di nuovo sul software. Sono stati lanciati dei nuovi brand, come Splatoon, altri arriveranno. Moltissimo viene dal mondo digitale e dalle collaborazione che Nintendo sta facendo con gli studi indie e che in passato veniva percepito come un tallone d’Achille.DDAY.it: Negli ultimi mesi Nintendo ha realizzato alcuni incontri con i giornalisti per parlare dei giochi italiani indipendenti. Tali eventi sono stati creati per legare i giochi italiani alle console Nintendo o, in generale, per aumentare la sensibilità sulla produzione italiana del videogioco?
Stefano Calcagni: Ci tengo a dire con orgoglio che è stata un’idea italiana. È l’Italia che ha aperto le porte a questa attività in Europa. Per due motivi. Il primo: dare visibilità e valore a tanti team di sviluppo che spesso non sono conosciuti e mettono grande sacrifico nello sviluppo dei videogiochi. È giusto, secondo me, dare valore a questi contenuti anche se di nicchia perché queste aziende giocano un ruolo nel panorama lavorativo italiano.
Il secondo: parlare anche del mondo dell’eShop e del digitale, che è il canale che, almeno all’inizio, accoglie le produzioni indipendenti. È un aspetto importante per la conversione per questi studi di sviluppo, perché la sola notorietà sarebbe inutile senza le vendite. È un percorso su cui crediamo molto e che altri Paesi hanno seguito.
Lasciamo in chiusura il link all’intervista completa, in cui sono affrontate anche le tematiche dei ricavi, titoli mobile, Nintendo Switch Lite e altro.
Cosa ne pensate? Nintendo Italia fa quindi strada per le interazioni con gli studi indie: continueranno così? Come andranno le vendite di Nintendo Switch quest’anno? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti qua sotto.
Classe 1994, nintendaro dalla nascita. Ha quasi finito l’album delle figurine Pokémon uscito nel lontano 1999, e da allora è alla ricerca del Mew mancante. Ha iniziato a giocare a Pokémon con Oro quando ormai era già uscito Cristallo, ma da allora non si perde un’uscita della saga. Odia scrivere bio abbastanza sarcastiche in due righe.