Una delle tante cose che andrebbe insegnata a scuola è che non tutto lo si può capire subito. Mi sono appassionato alla saga di Pokémon nel preistorico 1999, potendo così godere il privilegio di osservare l’evoluzione della serie in prima persona. E ricordo benissimo la meraviglia nel giocare Oro e Argento, i titoli che tentarono l’impossibile, riuscendoci: superare due capostipiti ingombranti come Rosso e Blu. Per comprenderne appieno il valore mi ci vollero però anni, e solo con i loro remake, Oro HeartGold e Argento SoulSilver, sono riuscito a capire una volta per tutte che a Johto si era sfiorata la perfezione. Come mai prima Pokémon ci era riuscito, e come da allora non si è ancora ripetuto.
Era il 26 marzo 2010 quando anche l’Europa poteva mettere mano a un gioco atteso fin troppo a lungo, Oro HeartGold e Argento SoulSilver, da quel 2004 in cui Game Freak aveva stupito il proprio pubblico col primo di una fortunata serie di rifacimenti. I forum di appassionati, alla fine degli anni 2000, avevano un solo argomento: i remake di Oro e Argento, così come pochi anni dopo lo sarebbero stati quelli di Rubino e Zaffiro e oggi quelli di Diamante e Perla. C’era però qualcosa che rendeva magici questi due titoli, qualcosa che nessun gioco Pokémon successivo avrebbe mai potuto vantare per ovvie ragioni: l’introduzione dei colori (quelli veri) nella grafica, del ciclo giorno/notte, di due nuovi tipi, del concetto di evoluzione tra generazioni diverse e molti altri primati che rendevano Oro e Argento i degni successori di Rosso e Blu, i giochi che avevano cambiato il mondo. Non era facile bissare un successo (il secondo album è sempre il più difficile), non era facile sfruttare i privilegi dati dall’essere il primo sequel nella serie: Oro e Argento stravinsero, in entrambi i casi.
HGSS (la sigla comunemente utilizzata per indicare i remake di Johto) avevano sulle spalle un peso forse anche più pesante degli originali: così come nel 1999 bisognava superare la rivoluzione, nel 2009 bisognava superare la perfezione. La strada intrapresa, in retrospettiva, può dirsi posta a metà di quanto fatto coi remake di Kanto e Hoenn: se in Rosso Fuoco e Verde Foglia la fedeltà agli originali era stata quasi ossessiva, in Rubino Omega e Zaffiro Alpha parecchie libertà sarebbero potute restare sulla scrivania di Junichi Masuda. HGSS si dimostrano rispettosi degli originali, cogliendo al meglio lo spunto lasciato a metà dieci anni prima: se è anche vero che il Game Boy Color fu sfruttato al massimo graficamente, non bastava ancora a rendere al meglio la regione di Johto. Ci pensano la Torre Sprout, Amarantopoli tutta, il Faro di Olivinopoli e molto altro ancora a ricordarci che su Nintendo DS avevano trovato una nuova casa, potendo finalmente esprimere l’amore degli sviluppatori verso questi titoli, prima di tutto orgoglio per un paese dalle antiche tradizioni quale è il Giappone. Che nelle Kimono Girl, nel mito di Ho-Oh, nei bonzi di Violapoli, non ha pudore a mostrarsi.
Questo progresso si registra anche nelle musiche, che dal primitivo quanto adorabile 8 bit si trasformano in tracce capaci di completare alla perfezione le atmosfere e le tradizioni di Johto, complice un utilizzo del soundfont di Nintendo DS molto più variegato di quanto fatto nei precedenti Diamante e Perla; a tal proposito impossibile non citare il Lettore GB, strumento che permette di sostituire le musiche dei remake con quelle degli originali. HGSS non si fanno problemi a superare i predecessori anche in momenti chiave, come l’apparizione dei leggendari: se in Platino la discesa di Giratina avveniva in forma di sprite bidimensionale, nei remake di Johto l’incontro con Lugia e Ho-Oh avviene con splendide cutscene tridimensionali, gettando le basi per un approccio ancora valido in Sole e Luna e che già Nero e Bianco avrebbero perfezionato.
L’amore per i dettagli che caratterizza Oro HeartGold e Argento SoulSilver lo si nota nelle pale eoliche di Borgo Foglianova, il cui rumore può essere sentito se ci si posiziona accanto, negli archi che introducono Fiordoropoli e Amarantopoli, sottolineando il binomio delle due città e la dicotomia dello spirito di Johto che rappresentano, in bilico tra tradizioni e progresso. Lo si può notare nello scricchiolio dei pavimenti in legno, delle tavole appoggiate alle case di Amarantopoli, in… la caccia al dettaglio, in HGSS, è un gioco nel gioco, un mezzo sorriso strappato ogni volta che se ne scova uno nuovo, il compiacimento di avere tra le mani un prodotto pensato molto prima del giorno in cui si decise di crearlo.
La parola d’ordine, dovrebbe essere chiaro a questo punto, è raffinatezza. E lo si intuisce già dalle scatole in cui questi giochi sono venduti, senza grossi dubbi le più belle mai realizzate per un gioco Pokémon: grandi, con una sfumatura delicata ma decisa delle tinte dell’oro e dell’argento, ricche di dettagli tratti da luoghi simbolo della regione di Johto. Dimensioni notevoli dovute a un altro tocco di classe incluso nella confezione, il Pokéwalker: sette anni prima (HGSS escono in Giappone nel 2009) di Pokémon GO avevamo già la possibilità di “trasportare” i Pokémon nella realtà, grazie a un contapassi in grado di comunicare direttamente con le nostre copie di gioco e di estrarre, uno alla volta, i nostri fidati compagni per una passeggiata.
Il Pokéwalker ha uno splendido corrispettivo nei giochi: la possibilità di farci seguire dal primo Pokémon in squadra, qualunque esso sia, e di interagirci. Per l’ennesima volta Oro HeartGold e Argento SoulSilver si confermano precursori, offrendoci con diversi anni di anticipo un assaggio di Poké Io&Te e di Poké Relax. Forse più spartano, ma indubbiamente più immediato e realistico, grazie alle finestre di dialogo che cambiano in base al luogo in cui ci troviamo: un Typhlosion in una pozzanghera, ad esempio, ne sarà piuttosto seccato, mentre un Clefairy sul Monte Luna sarà su di giri. E la dolcezza data da un Cyndaquil che ci salta addosso dopo una vittoria è offerta poche altre volte in Pokémon, di certo con tale realismo.
L’ultimo grande ambito in cui HGSS brillano, con la lucentezza degna di un metallo prezioso, è l’utilizzo del touch screen. Che la saga di Pokémon non abbia mai saputo bene cosa farsene dello schermo tattile è cosa nota: mentre Diamante, Perla e Platino proponevano un PokéKron caotico, con un numero esagerato di software tra cui scegliere (25, di cui solo una manciata davvero necessari), Nero e Bianco toglievano alla radice il problema non utilizzandolo quasi del tutto. Le generazioni su Nintendo 3DS ne hanno fatto un uso più equilibrato, senza mai renderlo parte integrante dell’esperienza al di fuori del Poké Io&Te/Poké Relax. Oro HeartGold e Argento SoulSilver prendono due strade: quella pratica, con il menù e gli strumenti selezionati -come la bici- costantemente sul touch screen senza bisogno di premere tasti (ancora oggi una comodità che solo questi episodi possono vantare), e quella ludica. In quest’ultimo caso un’intera struttura, il PokéAthlon, aggiunge ore e ore di divertimento proponendoci olimpiadi in salsa Pokémon che ci permettono di interagire col touch screen come nessun altro gioco Pokémon ci avrebbe più richiesto da allora. Un azzardo creativo da parte di Game Freak maledettamente riuscito, e che stupisce non abbia più avuto seguiti (eccezion fatta per i minigiochi del Poké Io&Te in Pokémon XY, ben poca cosa rispetto a colpi di genio come Spaccalastra e Staffetta).
Accanto a questo lungo elenco di novità che permettono a HGSS di ribadire la loro cifra stilistica e la loro necessità di esistere, tutti i pregi degli Oro e Argento originali restano ancora validi: 16 medaglie da conquistare, ancora oggi record della saga; due regioni da esplorare, altro record; un game design impeccabile grazie a un percorso tutto sommato semplice da seguire ma al contempo ricco di labirinti opzionali carichi di avventura (Monte Scodella, Grotta Scura, Isole Vorticose); una regione che come nessun’altra nella saga “gioca sporco”, attingendo a piene mani da una cultura ben nota ai creatori del gioco, dimostrando un’identità decisa e curata nel dettaglio a un livello che nel resto della saga, per svariati motivi, non si è più visto. Due sono i veri difetti, comuni agli originali come ai remake: la timidezza nel far utilizzare Pokémon di II generazione ai personaggi (all’epoca scusabile con l’alone di novità da conservare il più a lungo possibile) e la curva dei livelli dei Pokémon, selvatici come degli avversari, relativamente bassa fino alla fine; quest’ultimo problema tangibile solo nel momento in cui si vuole portare al livello 100 i propri mostriciattoli, non essendo per il resto mai un grosso impedimento allo scorrere naturale del gioco.
E io lo dico, per concludere: la trama di Pokémon Oro e Argento, e di conseguenza quella dei loro remake, potrebbe essere considerata la più ambiziosa della saga.
Per un motivo molto semplice: si tratta della continuazione di una storia già raccontata, e come il cinema ci insegna non è mai facile proseguire una vicenda conclusa da sé, arrivando a inserirla in un universo narrativo più grande. Qualcosa che si sarebbe ritentato, con successo, tredici anni dopo con Nero 2 e Bianco 2, i quali però non dovranno sostenere le aspettative di Oro e Argento.
Arrivati a questo punto dovrebbe essere chiaro che per una lunga serie di motivi Oro HeartGold e Argento SoulSilver potrebbero essere considerati il punto più alto della saga di Pokémon, per la quantità di contenuti, la rifinitezza che li caratterizza e l’uso sapiente dell’hardware che li ha accolti. Benché nessun altro episodio possa vantare i punti di forza di Oro e Argento e dei loro remake, per motivi che vanno dal “Oro e Argento lo avevano già fatto” a “non lo abbiamo fatto”, a questo mondo esiste fortunatamente una variabile chiamata opinione, che impedisce al fandom di Pokémon di monopolizzare il dibattito sul gioco migliore citando unicamente HGSS. Benché questi ultimi siano spesso menzionati come l’eccellenza tra le eccellenze, praticamente ogni titolo principale offre qualcosa in grado di convincere più di un appassionato a dire “è il mio preferito”, alimentando una delle più vaste e movimentate discussioni nella storia dei videogiochi.
Quello che in fondo, prima ancora di dimostrare una verità assoluta, mi spinge a scrivere articoli come questo.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.