Perché riusciamo ancora a credere in Pokémon?

I fan di Pokémon lo sanno: partire con basse aspettative può essere un’arma importante per sconfiggere la propria disillusione. Triste, senza dubbio. Ma alle volte è l’unica tattica vincente per poter trarre un’esperienza positiva e stimolante da un prodotto striminzito e pigro.

All’annuncio dei remake di quarta generazione, un buon 50% di coloro i quali avevano visto il trailer introduttivo era rimasto scandalizzato dalle scelte artistiche compiute da ILCA, a cui da GAME FREAK ha affidato il rifacimento moderno di giochi che sono diventati talmente grandi da aver fagocitato e vomitato le aspettative dei giocatori su ogni nuovo titolo Pokémon in uscita dal lontano 2006. Sì, è parecchio lontano il 2006, confessatelo a voi stessi una volta per tutte. E mentre in Italia i bagordi per la vittoria dei mondiali di calcio si stavano ancora affievolendo, in Giappone uscirono Diamante e Perla.

E cambiarono tutto.

“Sì mamma, compro questi giochi per la trama.”

Questi giochi erano, sono e saranno per sempre uno dei punti più alti mai raggiunti dall’intero franchise. Per trama, evoluzione, aspetto, ispirazione. E perché trapanare pareti di miniere come nemmeno Paperone nel Klondike è una droga fortunatamente non riconosciuta dallo Stato.

Fare un remake di questi giochi non era assolutamente necessario, almeno non con le “innovazioni” odierne dei giochi Pokémon contemporanei. Ma fare un BUON remake di Diamante e Perla non era solo necessario: era vitale. Per questo in molti, compreso chi sta scrivendo, non hanno potuto che storcere il naso di fronte alle prime immagini mostrate nel trailer di lancio. Ma lo ammetto, è stato sorprendentemente efficace per far scattare la curiosità mia e di molti altri, non solo nelle redazioni videoludiche.

“Giratina cu…”

Pokémon Diamante Lucente e Perla Splendente rappresentano la migliore espressione possibile della mediocrità. Sono giochi perfetti per il loro scopo e gravemente insufficienti se rapportati alle loro controparti “originali”. Eppure, sono dei bei giochi. I Pokémon di quarta generazione sono ispirati e originali, inseriti perfettamente nell’ecosistema della regione che li ospita, Sinnoh, in un brulicante pot-pourri di ecosistemi che stimola continuamente l’immaginazione del giocatore. Ma allora perché spendere queste parole d’encomio quando ci si riferisce a un lavoro di tale basso profilo?

Due sono i punti principali. Primo, questi sono remake di giochi talmente belli che renderli indigesti o quantomeno antipatici sarebbe impossibile. Secondo, Diamante e Perla (e successivamente Platino) sono i giochi che meglio incarnano ciò che ricerca un giocatore: il divertimento, la sfida e la tanto apprezzata quanto sorprendentemente strutturata lore. È impossibile parlare male di Diamante Lucente e Perla Splendente quando abbiamo una forma ben precisa della retrospettiva creata negli anni di Diamante e Perla. Sono identici ai giochi del 2006, salvo aggiustamenti obbligatori dovuti alle novità introdotte negli ultimi dieci anni, come l’aggiunta del tipo Folletto. E giocandoci, mi sono divertito.

“Divertimento? Che emozione patetica e inutile.”

Sembra un controsenso, ma è l’espressione perfetta del mio stato d’animo durante la mia partita. Diamante e Perla sono dei giochi stupendi? Bene, Diamante Lucente e Perla Splendente sono molto belli. Perché non potrebbe essere altrimenti. Sarebbe impossibile rendere brutti dei giochi così divertenti, iconici, esemplari. La grafica può non essere all’altezza, ma non basta a rovinare un’esperienza di gioco che non può che essere positiva. Ed è questo il più grande problema di questi remake.

È lo scopo di questi remake a far crollare la loro considerazione. Essi sono delle copie talmente pallide e inconcludenti da essere stati realizzati solamente con una direzione ben precisa: pubblicizzare Leggende Pokémon: Arceus. E a livello di marketing è una mossa azzeccatissima, geniale. I più giovani possono vivere su una nuova console l’esperienza di pietre miliari nella storia del brand, mentre i nostalgici apriranno comunque il loro portafogli per rivivere un briciolo delle emozioni che il loro fanciullo interiore ha ben fissate nella memoria. E questo è fondamentale per poter introdurre il nuovo e “rivoluzionario” capitolo ambientato nella Sinnoh del passato. Bisogna far prendere la mano, far conoscere (o far riabituare a) i nuovi Pokémon della regione, per far comprendere appieno il loro passato. Eccolo il problema grande, enorme, mastodontico di questi remake: sono stati creati per essere sacrificati in nome della grande novità, in uscita appena due mesi dopo di loro.

Anche lì hanno i loro problemi signorina, mi creda.

Diamante e Perla non si meritavano questo trattamento, per ciò che sono stati e per tutto ciò che ancora oggi rappresentano nell’immaginario collettivo dei giocatori di Pokémon. Diamante Lucente e Perla Splendente sono delle copie talmente precise da risultare inutili e vuote, senza anima né voglia di dimostrare qualcosa. Non hanno cuore, sanno solo che cosa sono: dei giganteschi volantini pubblicitari con pagamento a carico del destinatario. Non c’è ambiguità in questi giochi, non c’è diatriba tra chi ha goduto nell’affrontarli e chi li ha disprezzati fin dal primo trailer. Sono dei messaggi ben precisi sia alla fanbase più solida che ai novizi: “Ehi, vedete questi giochi? Bene, ci sono, ma non gli date troppo peso, che il bello viene il 28 di gennaio!”.

Eppure, come detto, è difficile non divertirsi con Diamante Lucente e Perla Splendente. Sono Diamante e Perla con personaggi in forma di Funko Pop, praticamente uguali. C’è Camilla, campionessa spietata e fortissima, sogno delle notti di moltissimi allenatori (e allenatrici); c’è il team Galassia, con Cyrus, il suo sguardo vacuo e accusatorio e la sua theme da battaglia talmente bella da far venire ancora oggi la pelle d’oca; c’è la “scalata” fino a Nevepoli che oggi come quindici anni fa miete vittime stremando financo le squadre degli allenatori più esperti. Parafrasando qualcuno, “Venite a provare il nostro gelato gusto Galassia, proprio come TUTTO nel nostro gioco!”.

Pure lui l’ha capito.

Ma allora perché continuiamo ad avere fiducia in questo brand? Perché ogni anno tutti i giochi continuano ad avere un hype altissimo nonostante da dieci anni ormai tutte le aspettative vengono sistematicamente deluse da remake senza motivo di esistere, innovazioni inesistenti (a prescindere da ciò che sarà Leggende Pokémon: Arceus), comparto grafico arretrato e, in generale, povertà di contenuti di alta qualità videoludica? Perché Diamante Lucente e Perla Splendente macinano milioni di copie nonostante quasi tutti ne parlino male?

NO CHE NON CAPISCO

È molto difficile dare una risposta a quesiti che probabilmente una soluzione univoca non ce l’hanno. Uno degli aspetti che però ritengo più rilevanti è il fattore nostalgia, non però nelle modalità più “tradizionali”. In una recente chiacchierata con i colleghi della nostra redazione (a proposito, sapete che abbiamo aperto un canale Twitch?) è ovviamente sortita tale questione e analizzando le varie reazioni agli ultimi remake si è cercata una motivazione di un successo che non dovrebbe arrivare per giochi di questo tipo, senza arrivare a una soluzione valida. La spiegazione potrebbe essere quanto più di romantico e allo stesso tempo razionale possa esserci. Noi giocatori di Pokémon, soprattutto quelli di lunga data ma anche chi ha cominciato dalla quarta o quinta generazione, siamo innamorati dell’idea di amare questi giochi.

Ed è un sentimento radicato, fortissimo, tatuato nella nostra memoria, forgiato dai primi sconnessi pixel di Kanto, dalla pienezza di Johto, dalle estati e dall’odore di salsedine di Hoenn, dalla divinità di Sinnoh, dalla cupa contemporaneità di Unima. Parlavamo prima dei ricordi del nostro fanciullo interiore; da giocatori di Pokémon, i nostri tempi verranno per sempre scanditi dai ricordi indelebili creati dai giochi Pokémon. È questo ciò che cerchiamo ancora oggi da questo brand, nonostante gli errori e i fallimenti. Vogliamo solo che un po’ di questo amore di venga corrisposto.