I remake di Pokémon Rubino e Zaffiro non dovevano esistere

A partire dal 2010, anno di grazia in cui sbarcarono in Occidente quelle gemme di Pokémon HeartGold e SoulSilver, su internet iniziò a farsi spazio un dibattito sempre più rumoroso tra i fan di Pokémon: la possibilità che anche Rubino e Zaffiro potessero essere oggetto di remake. Ai più pareva una cosa logica, ma un po’ per provocazione un po’ per falsa speranza c’era chi quei remake li voleva prima del loro momento opportuno, creando una delle discussioni più aspre nella storia della saga. Quando questo attimo è finalmente arrivato, nel 2014, abbiamo capito che di quei giochi non ce n’era bisogno.

Cerchiamo per prima cosa di spiegare cosa siano stati Rubino e Zaffiro all’interno della storia di Pokémon. I titoli della rottura, in una parola: tutto quello che sapevamo fino ad allora di Pokémon (non tantissimo, in retrospettiva) veniva bruscamente separato da una nuova coppia di giochi pronti a riscrivere tutto, a partire dalle fondamenta della battaglia. EVs, abilità, nature, la storia la conosciamo. Ma non solo: anche il Pokédex vuole riflettere questa rottura, con ben 135 nuovi Pokémon di cui solo due legati a quelli incontrati in precedenza. Non ultimo, un’ambientazione tropicale completamente diversa dalle ben più monotone Kanto e Johto. Perfino la trama si mette in gioco, cogliendo lo spunto di Cristallo e accentuando il ruolo dei leggendari.

Questa rivoluzione fu all’epoca digerita in due modi diversi: ci fu chi, come me, accolse tutto questo a braccia aperte, conscio della meraviglia che ci veniva offerta, e chi invece per la prima volta decise di rifiutare qualcosa proveniente da Pokémon. “Questi design non sono più Pokémon”, “la regione è fatta male”, “le musiche sono monotone”. Rubino e Zaffiro prendono sulle loro spalle un peccato originale pesantissimo, quello di essere i primi titoli della saga di videogiochi più popolare di sempre ad essere pesantemente criticati dal proprio stesso pubblico. Queste critiche furono all’epoca ignote alla maggior parte della mia generazione (chi all’epoca aveva intorno ai dieci anni): furono i fan più grandi, e pericolosamente fuori dalla target audience, a percepire con più forza tutto questo.

L’assenza di compatibilità con le vecchie versioni non fu certo un bonus. Per quei fortunati che potevano scambiare senza problemi, non essere in grado di portare con sé la propria squadra da Rosso e Blu fu un trauma. Ma tutti questi difetti, se così possiamo definirli nella maggior parte dei casi, non riescono a negare un fatto molto importante: Rubino e Zaffiro costituiscono l’apice della saga di Pokémon, perlomeno il primo momento nella sua storia in cui Game Freak dimostra di aver imparato come creare un gioco quasi perfetto. Un gioco capace di invecchiare splendidamente, nella stessa categoria di quegli A Link to the Past e Super Metroid che a distanza di decenni continuano a meravigliare.

Angoli come Verdeazzupoli dimostrano la freschezza grafica raggiunta già dagli originali Rubino e Zaffiro. Una freschezza senza tempo.

I motivi che ci aiutano a capire sono molto semplici: la regione, nonostante l’abbondanza di acqua, offre scenari e una profondità che solo un duro lavoro sulle regioni di Kanto e Johto poteva aver permesso di raggiungere, con vulcani, deserti, abissi, foreste tropicali; le musiche raggiungono una varietà e una personalità che dopo due generazioni a 8 bit non si sarebbero mai potute sfiorare, e lo fanno con un soundfont che a distanza di 14 anni appare ancora freschissimo e convincente; la trama, per essere stata la prima di una lunga serie sul genere “fine del mondo”, risulta ancora avvincente e con i leggendari giusti al momento giusto; le città offrono una varietà e una personalità che ha pochi eguali nella storia di Pokémon, complice la splendida regione di cui ho già parlato.

Chiarito tutto questo possiamo capire come, pur con qualche sbavatura, Rubino e Zaffiro sfiorassero anche solo da un punto di vista tecnico la perfezione. Complice anche un hardware delizioso come quello del Game Boy Advance, il quale sapeva offrirci scenari ancora oggi capaci di mozzarci il fiato.

Perché, quindi, cercare di superare tutto questo? Perché cercare di sistemare difetti la cui correzione richiederebbe di ripensare dalle fondamenta il gioco stesso?
È proprio da questo punto che entriamo nel vivo di quello che voglio dimostrare, ossia che Rubino e Zaffiro siano stati giochi che non avevano bisogno di remake. Soprattutto, non in questo momento storico.

Un confronto tra remake, soprattutto se l’altro è Pokémon Oro HeartGold e Argento SoulSilver, ci aiuta a capire un paio di cose importanti.

Prendiamo i remake precedenti, HeartGold e SoulSilver. Amatissimi, osannatissimi, chiacchieratissimi ancora oggi. Perché possiamo dire che funzionano? Perché, in una parola, la loro fonte era imperfetta. Pare una bestemmia detto da un sito che si chiama Johto World, ma l’imperfezione di Pokémon Oro e Argento è situata proprio nell’hardware in cui si sono trovati. La regione di Johto e i suoi personaggi hanno cercato di dirci qualcosa, qualcosa di meraviglioso, e ci sono riusciti. Ma il loro problema è che non avevano le parole giuste per esprimerlo nel migliore dei modi. È come chiedere a un bambino di descriverci un tramonto: per quanto belle e spontanee possano essere le sue parole, non avranno mai la ricchezza e la profondità di quelle usate da uno studente universitario.

Lo capiamo da moltissimi dettagli, mettendo fianco a fianco Oro/Argento e HeartGold/SoulSilver. Partiamo da Violapoli, città già splendida negli originali coi suoi tetti caratteristici e la Torre Sprout. Ma è nei remake che brilla di luce propria, grazie a un selciato unico, alle lanterne, ai laghetti mai visti prima, alla pagoda finalmente degna di questo nome… gli esempi offerti da questo confronto sono quasi infiniti. Prendiamo Azalina, che può finalmente vantare un Pozzo Slowpoke come si deve, che ha quello splendido tocco del fumo dal camino dei produttori di Carbonella, delle porte che scorrono alla loro casa e a quella di Franz. Guardiamo Fiordoropoli, con una stazione completamente ridisegnata (col tocco delizioso del binario visibile dal Percorso 32) e un arco a introdurre la città, voliamo ancora più in alto: Amarantopoli, che può finalmente mostrare il suo orgoglio giapponese, orgoglio degli sviluppatori che diventa nostra meraviglia di fronte a una città così ben realizzata, così ricca di dettagli da ammutolirci come lungo il sentiero Din Don.

Fianco a fianco, le due versioni di Amarantopoli sono la dimostrazione lampante di quante cose avesse ancora da dire Johto.

Potrei quasi farci un articolo nell’articolo, ma penso sia ormai chiaro. Oro e Argento tendevano la mano verso una perfezione che, a causa dei limiti del Game Boy, non potevano raggiungere: una volta arrivati su Nintendo DS questi limiti sono spariti e la regione di Johto ha potuto esprimersi al suo pieno potenziale. Questi limiti su Game Boy Advance non esistevano già più, e la Hoenn di ORAS ne è una dolorosa conferma.

A prendere, fianco a fianco, le mappe di Hoenn prese da Rubino/Zaffiro e da ORAS ci accorgiamo di quante poche differenze intercorrano: le città sono immutate semplicemente perché non avevano bisogni di essere migliorate, tutto quello che volevano dirci lo avevano già raccontato nel lontano 2002. L’unica eccezione è Ciclamipoli, indubbiamente (e misteriosamente) spoglia negli originali, che nel suo essere unico vero cambiamento dimostra ancora di più quanto funzionasse già tutto nella vecchia Hoenn. Perfino le colonne sonore, che da Oro/Argento a HGSS godono di arricchimenti, arrangiamenti e tocchi di classe che il passaggio dal primitivo 8 bit poteva permettere, risultano in questo caso quasi identiche (qui potete sentire la musica del percorso 29 in HGSS, mentre qui potete sentire la nuova musica di Porto Alghepoli). A sentire sovrappensiero la musica di Porto Alghepoli da ORAS, infatti, si fa quasi fatica a distinguerla dalla già eccellente traccia di Rubino/Zaffiro.

La Ciclamipoli di ORAS è inconsapevolmente la dimostrazione che ad Hoenn, di cose da migliorare, non ce n’erano poi molte.

In parte questa immutabilità è figlia di scelte precise da parte di Game Freak, che con i remake di Hoenn (al contrario di quelli di Kanto e Johto) ha voluto ascoltare le richieste dei fan. L’Hoenn Confirmed è arrivato fino ai piani alti, insomma, condizionando non poco certe scelte. Anche l’aderenza maniacale delle musiche, ad esempio, è stata dettata da alcune critiche rivolte alla colonna sonora di HGSS, rea di “essersi presa troppe libertà”. Ma erano proprio queste libertà ad aver dato ad HeartGold e SoulSilver un sapore unico, e al contempo noto, che Rubino Omega e Zaffiro Alpha purtroppo non conoscono.

Infine i remake di Rubino e Zaffiro hanno avuto la pessima idea di uscire in un momento molto diverso rispetto ai loro predecessori. In un’epoca, metà anni ’10, molto più condizionata dai giochi per smartphone rispetto alla metà e alla fine degli anni 2000 (le epoche di FRLG e HGSS) Game Freak ha cercato di assecondare il pubblico offrendo giochi più semplici. Comprensibile, ma per chi aveva amato con la carne e con l’anima gli originali è stato un dolore immenso vedere le sfide coi Capipalestra diminuite di difficoltà, dettagli come la Torre Cielo ridotte a una passeggiata, momenti scandalosi come quello in cui ci viene REGALATO sua maestà Latios/Latias.

È proprio quest’ultimo punto che vuole aprire una parentesi dolorosa: se negli originali la caccia a Lati@s era una sfida con la natura selvaggia di Hoenn alla ricerca del suo segreto meglio custodito (insieme ai Regi), nei remake diventa una formalità per far proseguire la trama. Qualcosa che deruba un Pokémon Leggendario di ogni dignità, riducendolo a uno starter che non può nemmeno evolversi. Senza contare diversi altri dettagli che riducono ancora di più il livello della sfida: Mega Evoluzioni che continuano ad essere quasi esclusivamente un nostro vantaggio, l’assenza di un minigioco che sostituisse le slot machine (al contrario dell’adorabile Gira Voltorb), le Gare Pokémon e le Pokémelle ridotte a termini così minimi da diventare solo una lunga cutscene in attesa del fiocco quasi garantito.

Il simbolo della vera differenza tra ORAS e gli originali. Un simbolo non esattamente positivo.

Questo lungo discorso non vuole dimostrare che Rubino Omega e Zaffiro Alpha siano stati brutti giochi. Sarebbe una menzogna, perché io stesso li ho trovati divertenti. Le mie parole vogliono dimostrare che ORAS hanno avuto il dovere di esistere solo per ricordarci che non sarebbero dovuti esistere. Detto in altre parole, se non fossero esistiti saremmo ancora qui a piagnucolare per avere il nostro ritorno a Hoenn, io per primo.
Ma la storia ha preso un’altra piega, una piega che ci ha fatto capire quanto fossero già perfetti gli originali. E di come, negli ultimi anni, la nostra saga preferita abbia preso una piega da correggere al più presto se il fattore Pokémon, quello che ci fa spalancare la mascella di fronte a una nuova avventura, vuole ancora essere parte integrante delle nostre vite.

The end.

2 thoughts on “I remake di Pokémon Rubino e Zaffiro non dovevano esistere

  1. Questo articolo è perfetto, te lo dico col cuore: sei riuscito a trasformare in parole il motivo per cui i remake di RSE, che tanto avevo desiderato ed atteso, mi ha deluso così tanto, ed è un qualcosa che non sono riuscito a fare nemmeno io.
    Grazie, è stato senza dubbio illuminante.
    E ora per togliermi il saporaccio amaro di un remake indegno degli originali vado a giocare un po’ al mio adorato Heartgold: c’è un motivo se su HG ho 999+ ore di gioco giocate e su ORAS circa trecento (perlopiù spese nel breeding) :’)

  2. Premetto che il mio commento sarà un po’ di parte, in quanto all’epoca saltai completamente la 3 gen per riprendere i pokémon anni dopo con platino. Io ho trovato questi remake molto divertenti ed azzeccati. Ho avuto modo di recuperare appieno quel vecchio capitolo, cosa che negli anni non riuscii a fare.
    Mi preme farvi notare che siamo di fronte ad un remake, parola che non per forza implica una modifica sostanziale del gioco. Sono remake fedelissimi, che adattano semplicemente i vecchi capitoli al nuovo hardware; presentano alla nuova generazione di giocatori i vecchi capitoli, cercando di ricreare le stesse emozioni che hanno scaturito in passato. E qual è il momento migliore se non accanto a capitoli ‘rivoluzionari’ quali x e y ? Un tuffo nel passato con tutte le nuove caratteristiche dei giochi, dalla grafica mozzafiato ai nuovi meccanismi di gioco. Nessun passo falso, niente che potesse scaturire dissensi (se non appunto l’esistenza stessa dei remake 😀 ). Il tutto in aiuto alla sesta gen, facendoci familiarizzare al meglio con le nuove meccaniche e riempiendo quel vuoto dovuto alla brevità dei capitoli x e y. Senza contare che per loro natura questi remake attirano i vecchi giocatori, quelli che nel tempo hanno abbandonato la saga, con la speranza di riconquistarli con le novità e senza dar loro motivo di lamentarsi del gioco. La nuova generazione in arrivo prospetta nuove modifiche fondamentali, a questo punto l’esistenza dei remake è cruciale per poter prevenire una confusione totale e rendere l’evoluzione del gioco graduale. Nuovi remake con diverse motivazioni, tutto qua.
    Per quanto riguarda la facilità del gioco, si tratta di un problema riscontrato anche in x e y e di sicuro nei capitoli a venire. Ai tempi d’oggi un ragazzino che non riesce a superare un determinato ostacolo preferisce cambiare gioco piuttosto che sbatterci la testa. Sarebbe opportuno scegliere un livello di difficoltà, cosi da farci bestemmiare di nuovo come ai tempi di Gary (pensate che provo pietà per serena/vera ogni volta).

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