La situazione attuale degli appassionati di Pokémon, un calderone enorme in cui convivono un’infinità di modi diversi di vivere la saga, può essere riassunta da un noto racconto di William Wymark Jacobs pubblicato nel 1902, La zampa di scimmia. In esso un misterioso amuleto, una zampa di scimmia appunto, permette di esaudire desideri: quello che i protagonisti non sanno è che il prezzo da pagare per questi desideri è altissimo, spesso macabro. Una storia lugubre, che però diventa metafora calzante quando guardiamo al recente annuncio (anche se sembra già passata una vita) di Pokémon: Let’s Go, Pikachu! e Let’s Go, Eevee!, ossia il già controverso esordio del franchise su Nintendo Switch. Quello che voglio provare a fare con questo articolo è spiegare i problemi di questi due giochi, sia quelli legati alle loro premesse sia quelli che abbiamo già avuto modo di vedere.
Va da sé che scrivo alla fine di giugno 2018: l’auspicio è che quanto stia per illustrare serva come punto della situazione, e non come bocciatura preventiva e poi comprovata dei due Let’s Go. Ci spero, appunto.
Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?
Voglio partire subito con un’ovvietà che forse abbiamo già scordato a meno di un mese dall’annuncio: a Kanto non ci voleva tornare nessuno. In maniera analoga a quasi ogni altra grande saga videoludica (eccetto forse Super Mario e Sonic), i primi titoli Pokémon sono stati vittime di un tempo spietato che li ha resi sempre meno godibili. Nel caso di Pokémon, però, questi esordi sono stati negli anni oggetto di una venerazione morbosa e spesso fine a se stessa da parte del pubblico generalista, al punto da creare una situazione quasi paradossale: i fan che non avevano abbandonato la serie non ne volevano più sapere del mondo in cui tutto era iniziato. La cosa è andata in tandem con le scelte di Game Freak, la quale ci ha fatto visitare Kanto ben quattro volte in tredici anni. Qualcosa di analogo al succitato Sonic con la Green Hill Zone, la celeberrima prima area di gioco che negli anni è stata rivista un’infinità di volte da SEGA. Ma se la Green Hill Zone è una parte di gioco gestibile in un quarto d’ora, la primitiva Kanto era al centro di un’avventura da decine di ore.
Questo pregiudizio comprensibile da parte della fanbase ha reso ancora più complicato l’annuncio di Let’s Go, al punto che Game Freak per prima ha messo subito le mani avanti annunciando in contemporanea titoli principali “vecchio stile”, in arrivo su Switch per il 2019. Un colpo al cerchio e uno alla botte, che però non ha risposto a una semplice domanda: perché tornare una quinta volta a Kanto?
La risposta, breve, è per attirare i fan di Pokémon GO. Fatto assodato, mettiamoci il cuore in pace, e il presidente di The Pokémon Company lo ha confermato nuovamente giusto pochi giorni fa. Di sicuro non è possibile rimproverare Game Freak, creatrice di uno dei lati kawaii del capitalismo giapponese, che vuole fare incassi sul software Pokémon più diffuso di sempre.
Da domanda nasce domanda però: chi sono i fan di Pokémon GO?
Le risposte più attendibili sono datate, ma approssimativamente ancora valide. Forbes riportava nel luglio 2016 che il 78% dei giocatori di GO era maggiorenne: tenendo conto dell’attrattiva esercitata dal gioco sulla cosiddetta “Pokémon generation”, è molto difficile che questi numeri siano crollati in favore di un pubblico giovanissimo. La catena di interrogativi si fa sempre più lunga, a questo punto: cosa proverebbe un amante di GO, di 18 o più anni, di fronte a questa schermata?
Qualcuno sfocerebbe nel volgare, io mi limito a dire: di sicuro non si sentirebbe lusingato. Qualsiasi teorico del gioco, inteso come momento ricreativo dal quale non si trae alcun beneficio materiale, è concorde nel dire che uno dei fondamenti di tale attività è nella soddisfazione di scoprire le interazioni delle regole di un mondo slegato dal nostro. In parole povere se mi fai capire da solo come si intrecciano le regole del tuo gioco, io mi diverto di più: se mi spieghi tutto, levandomi il piacere della scoperta, mi annoio.
Tiro al bersaglio
L’approccio di Game Freak a Let’s Go diventa ancora più problematico quando queste semplificazioni avvengono a livello trasversale giustificandole come naturale (se non addirittura necessaria) evoluzione della saga di Pokémon. Qualcosa che avrebbe senso se si fosse di fronte a un target di bambini al di sotto degli otto anni, ma come abbiamo visto non è assolutamente così, non almeno stando alle stesse parole di Game Freak. Se foste curiosi sulle semplificazioni di cui parlo, vi rimando per brevità all’approfondimento sulla demo mostrata all’E3 2018.
Siamo di fronte in altri termini a un clamoroso errore di target, ancor di più se teniamo conto che Nintendo Switch ha un evidente pubblico che è quello giovane e social, in una fascia di età approssimabile tra i 16 e i 30 anni: nell’ottobre del 2017 l’83% dei possessori di Switch aveva più di 16 anni, il 63% era maggiorenne. Questo pubblico ha interessi e approcci alla materia videoludica molto lontani da quello che Game Freak sta cercando di vendere, creando una dissociazione che non impedirà a Let’s Go di raggiungere cifre di vendita astronomiche (le prenotazioni danno già un tutto esaurito), ma che lo renderà un titolo minore nel parco giochi di Switch, e un “incidente” nel percorso della saga.
Quando parlo di “incidente” intendo un’anomalia, qualcosa di estraneo a quanto venuto prima e dopo. O almeno, è quello che al momento spero che sia, sebbene difficilmente un titolo con una responsabilità enorme, quella di portare la saga videoludica più remunerativa di sempre su Switch, non influenzerà il futuro della serie.
Se una notte d’inverno un villager
Una piccola parentesi finale su un altro target che, nelle discussioni online, ho visto spesso proposto per quello “autentico” di Let’s Go: i bambini. In un certo senso le premesse di Let’s Go si sposano alla perfezione con quelle di un titolo per i più piccoli: pesanti semplificazioni, una regione di Kanto che prima ancora che magnete di nostalgia è venduta come una terra generica in cui dare un aspetto concreto agli elementi fondanti di Pokémon e di Pokémon GO, pochi Pokémon da incontrare e memorizzare. Qualcosa che si scontra con alcuni problemi, su tutti il prezzo di Switch: 300€ sono tanti per un pezzo di tecnologia da dare in mano a qualcuno al di sotto degli 8 anni. Benché non manchino fior di aneddoti su bambini di 5 anni fieri possessori di iPad, rimane il fatto che queste premesse non sono economicamente sostenibili su scala industriale. In altre parole, fino a quando Switch non scenderà sotto la soglia di guardia dei 200€ (tenendo conto che nessuna console portatile di Nintendo è mai stata venduta per oltre sei mesi a più di 150€), aspettarsi che un singolo gioco, seppur si parli di Pokémon, possa giustificare una spesa di quasi 400€ è irrealistico. Sia quando ad oggi il parco titoli di Switch non è ancora modellato sui bisogni dei più piccoli, di sicuro non come un Game Boy Advance o un Nintendo DS, sia quando la stessa spesa ha dimostrato di non essere attraente per molti adulti, soprattutto gli appassionati più casual di Pokémon GO.
E queste semplificazioni, forse, non andranno troppo a genio nemmeno ai bambini di oggi. Un gioco che furoreggia ancora tra i più piccoli, Minecraft, ha una forte componente esplorativa, ricco di anfratti da scoprire, formule da padroneggiare e in generale una visione profonda offerta senza indugi all’utente. Nel bivio da scegliere, Game Freak ha preferito imboccare quello delle app più scacciapensieri, come confermato da Junichi Masuda a partire dal 2014: un problema, uno dei tanti, quando si vende un gioco di ruolo e non il nuovo Fruit Ninja.
In conclusione Pokémon Let’s Go: Pikachu e Let’s Go: Eevee sono una coppia di giochi che nasce da un’idea economicamente sensata (esordire su Switch capitalizzando il successo di GO) che si scontra con una grande confusione a livello di target. Chi lo deve giocare questo gioco? Non lo ha capito bene Game Freak, facciamo fatica a capirlo noi.
Quello che è certo è che il successo ci sarà. Ci saranno i plausi della critica, i record di vendite, le impennate di Switch.
O forse questa anarchia mostruosa, queste mille scarpe da calzare con un piede solo, mostrerà il conto tra cinque mesi.
Sogna un corso universitario per scrivere biografie sagaci in tre righe. Creatore di Johto World, segue Pokémon dal suo arrivo in Italia nel 1999. Ne ha scritto e parlato così tanto negli ultimi due decenni che un sito come questo era una conseguenza inevitabile. Amante di Nintendo in generale, parla spesso di tutt’altro.
Questo articolo ha rafforzato ancora di più un’idea, un pensiero ricorrente che continua ad echeggiarmi nella testa da ormai qualche anno: Pokémon ha un problema, al momento attuale. E quel problema è Junichi Masuda.
Non è adatto a gestire questo franchise, e non sa nemmeno lui che direzione vuole fargli intraprendere. Ogni suo tentativo di apportare una “rivoluzione” a Pokémon si conclude con mezzi fiaschi per paura di osare, di tirare veramente fuori le palle.
Spedite Masuda a lavorare solo alle musiche e lasciate la direzione di Pokémon a qualcun altro, e vedrete che la qualità dei giochi avrà un’impennata generale :v