La recensione di Pokémon Scarlatto e Violetto, col cuore

Quando Pokémon Scarlatto e Pokémon Violetto furono annunciati, nel febbraio 2022, The Pokémon Company e GAME FREAK accettarono implicitamente di far comparare i giochi del brand più redditizio al mondo non solo con loro stessi, ma anche con TUTTI gli altri open world disponibili ai videogiocatori di tutto il mondo. La creazione di un mondo totalmente aperto, in ambito Pokémon, prevede l’innalzamento dell’asticella a un livello vertiginosamente alto, poiché la competizione non sarà mai più con titoli creati alla fine degli anni ’90, ma con prodotti che fanno della complessità e (anche) della bellezza visiva il loro punto di forza. Nintendo stessa può insegnare a riguardo: The Legend of Zelda: Breath of the Wild ha rappresentato un punto di partenza per tutte le case di produzione che, dal 2017, prendono spunto da esso cercando di replicare un gioco talmente sorprendente da sconvolgere i canoni non solo di struttura, ma anche di programmazione videoludica.

I giochi Pokémon sono sempre stati visti e giudicati secondo canoni differenti e, fino a qualche anno fa, questo era reso possibile da una struttura non ancora logora e abusata. Oggi, per quanto la formula può risultare ancora vincente in termini di incassi e buzz mediatico, uno svecchiamento del brand non è più rinviabile, specialmente se, come abbiamo detto, le altre aziende creano giochi prendendo spunto da titoli con una qualità generale incredibilmente più alta. GAME FREAK ha quindi tentato di unirsi all’onda lunga con un gioco che avrebbe dovuto rivoluzionare non solo il modo di giocare a un titolo Pokémon, ma anche l’approccio che la stessa casa ha avuto nella programmazione delle sue creature.
Ma quello che è stato fatto con Pokémon Scarlatto e Violetto è tutto completamente sbagliato.

Fun fact: il 90% degli abitanti di Paldea soffre di strabismo convergente. Questa insolita condizione è anche denominata “GameFreakismo galoppante”.

Un mondo vuoto

A partire dal design di noi protagonisti, più simili a bambole di porcellana che a degli esseri umani, e da quello di molti PNG, banali e dimenticabili sia nell’aspetto che nella caratterizzazione. Nemi è l’unica vera eccezione, col suo eccessivo ma non fastidioso entusiasmo. Colei che ci prende sottobraccio nella nostra avventura volendo mettere alla prova noi e lei stessa, auto-assegnandosi un ruolo da tutor non richiesto da nessuno, ma che sul lungo andare convince e trasmette simpatia.
I problemi però cominciano ben prima di incontrarla. Già dai primi frame del mondo di gioco ci si accorge di una qualità grafica scadente anche per i canoni del Game Cube. Il favoloso e dinamico mondo aperto paventato nei trailer di gioco è imbarazzante per texture piatte e ripetute, luci talmente sparate che sembra di stare sul set di Boris e musiche in larga parte dimenticabili (fortunatamente non tutte, ma ci torneremo tra poco). Il tutto impedisce due aspetti tanto scontati quanto fondamentali in un gioco open world, ovvero l’immersione nella realtà fittizia e la sospensione dell’incredulità. È un mondo che ci lascia impassibili, è un mondo vuoto. È un mondo brutto.

Sembra di essere sul suolo lunare. O in provincia di Pordenone.

Non si può neanche più parlare solo di fretta per i problemi nella creazione di un titolo del genere. C’è una pigrizia di fondo nell’ideazione, nella progettazione di questi titoli Pokémon. Creature che si intersecano negli abnormi poligoni che formano grotte e pareti rocciose, Pokémon che si ritrovano a mezz’aria o a camminare tranquillamente penetrando il terreno con metà del loro corpo, glitch grafici talmente assurdi ed evidenti che potrebbero essere commentati dalla Gialappa’s. Ci sono problemi gravi completamente ignorati da un team palesemente inadeguato non a creare open world, ma a programmare videogiochi.

Le città sono una delle più grandi delusioni di Scarlatto e Violetto. Non poter entrare nelle case è stata una delle peggiori sorprese che potessi aspettarmi, perché in un gioco Pokémon andare a parlare nelle case con gente a caso è da sempre stato fondamentale per raccogliere strumenti, informazioni utili per proseguire nel gioco e spesso anche piccoli dettagli di trama che arricchivano il gameplay. Era insomma un elemento molto importante di game design, perché intrigava il giocatore spingendolo a chiedersi “Ma ho parlato con tutti, sono entrato dappertutto?”, stimolando quindi l’esplorazione e rendendo le città molto ben caratterizzate, poiché a volte ci si ricordava di alcune di esse anche solo per un dialogo o per un PNG trovato in qualche anfratto. In Scarlatto e Violetto invece le città sembrano tutte dei modellini per un progetto di architettura, fatte di cartone, con gli alberelli di plastica.

I programmatori mentre presentano orgogliosi le nuove aree di gioco.

E so benissimo che spiegando questi dettagli sto parlando dell’ovvio, ma dare un concetto per scontato non lo svuota della sua importanza. Le persone in città che parlano del nulla cosmico, scomparendo alla fine del brevissimo percorso programmato e teletrasportandosi all’inizio dello stesso, con balloon dei discorsi che spesso si accavallano impedendone la lettura, sono tragicomiche. Ma sono solo alcuni degli aspetti della pochezza sostanziale che travolge questo titolo.

Fun fact 2: il 74% delle ragazze di Paldea è una bodybuilder con partecipazioni registrate a Mr Olympia.

Una lunga serie di problemi, in ordine sparso

Sono state fatte scelte sbagliate un po’ ovunque; anche nell’introduzione delle nuove meccaniche di gioco. La Teracristallizzazione è sì funzionale per aumentare temporaneamente le statistiche e modificare il tipo di un Pokémon (cosa non da poco, data la storica rigidità di questo lato di gameplay), ma esteticamente li rende dei clown con dei bizzarri cappelli sulla testa usciti dalla mente di uno stagista di Swarowski particolarmente annoiato.

“Nuovo Charizard scala 1:10, presto nei nostri store! (polizza cristalli su danni e rotture di 12 mesi)”

Ecco, quest’ultimo è un punto focale nella disamina di questo titolo: la NOIA. Infinite volte mi sono trovato a sbadigliare mentre giocavo, sia nelle fasi di grinding (quasi nulle) che in quelle teoricamente più concitate. Le lotte contro gli Allenatori sono noiose, i confronti con i membri del Team Star (sia capi che “reclute”) sono noiosi, gli assalti ai Pokémon dominanti sono noiosi, facili a dismisura. Ma soprattutto le prove di accesso alle palestre sono quantomeno imbarazzanti: far rotolare un’oliva andandoci addosso? Copiare una sequenza infinita di esercizi atletici? Sciare per 13 secondi netti attraverso porte giganti? Ma davvero?

Devo ammettere che da ubriaco questa prova è stata più divertente del previsto.

E poi le colonne sonore dei Capopalestra: un remix riciclato dagli stadi di Spada e Scudo, e identico a essi. Un segnale di pigrizia ingiustificabile, quando per alcune aree le musiche sono suggestive e ispirate; anzi, a tratti si inseriscono tranquillamente tra le migliori dell’intero franchise, vedi l’Area Zero con i suoi cori e la sensazione di mistero che riesce a far aleggiare.
Un altro problema enorme è il mancato autobilanciamento dei livelli degli allenatori e delle palestre. Si paventava prima dell’uscita del gioco come, grazie al mondo aperto, la libertà nello scegliere un percorso avrebbe modificato in automatico anche il livello dei Pokémon selvatici e soprattutto quelli posseduti dai Capopalestra. Speranza vana, livelli bloccati e tanti saluti alla libertà di scelta nell’esplorazione.

“Sei su Twitch? Metti un po’ l’Houndoom Podcast, oggi in studio ci sono Olim e Ghecis che parlano di come essere dei bravi genitori”

Se realizzata in malo modo, l’esplorazione si trasforma da entusiastica a fastidiosa. E questa volta nemmeno i nuovi Pokémon riescono a salvare le apparenze, perché il Pokédex di questa generazione non riesce a salvare la baracca. In alcuni casi il design è scarso e poco ispirato e non sto parlando della possibile bruttezza di una determinata specie, quanto più all’inutilità di alcune di esse; prendete la linea evolutiva di Pawmot. Perché comporla in tre stadi? Chi aveva bisogno di Pawmo? Oppure prendiamo alcuni metodi evolutivi. Perché per ottenere un Rabsca dovrei camminare per cinque minuti filati col mio Rellor accanto col rischio altissimo di interrompere il counter di passi per colpa di un qualche glitch?
Ci sono le eccezioni di altissima qualità, vedasi Kingambit, Annihilape o la linea evolutiva di Tinkaton, oppure dei Pokémon oggettivamente non bellissimi od originali ma simpatici (o molto memabili) come Orthworm e Wiglett; e poi Armarouge e Ceruledge, talmente belli da sembrare quasi fuori posto nell’ambiente di gioco. E ancora Dondozo e Tatsugiri, geniale accoppiata chef e sushi, oppure la linea evolutiva di Garganacl, un golem di sale che cita i mostri minecraftiani. I passi falsi però come detto ci sono, vedi il motore quattro tempi Revavroom o il povero Crocalor, messicano in Spagna (?), fino ad arrivare a Shroodle, ipotetico topo della peste (che grazie ad Arceus si evolve presto). Il livello generale non è troppo basso, ma rispetto alle due generazioni precedenti non riesce a tenere il confronto.

“BEEEEELANDI BESUUUUGHIIIII!!!”

In generale, i Pokémon in un gioco Pokémon non sono mai stati un problema, anche perché il giudizio soggettivo sulle creature è quasi insindacabile; i problemi semmai sono derivati da essi. C’è la convinzione, ai piani alti, che basti sfornare nuove creature ogni tre anni per poter alimentare il ciclo all’infinito. “Una nuova generazione? Presto, stampa le carte, fai i peluche, sviluppa la serie animata. Tanto vedrai, tutti si prenderanno tutto, come al solito!”, e, in fin dei conti, hanno ragione. Secondo i dati ufficiali, ad oggi Pokémon Scarlatto e Violetto hanno totalizzato 25 milioni di copie vendute, piazzandosi al terzo posto per copie vendute nella saga e col titolo di “gioco Pokémon che vende più velocemente” di sempre.

Torniamo a noi. La Lega Pokémon è un capannone. No, non è una robusta metafora ma la dura realtà: l’intero edificio ove risiede la massima autorità e performance in termine di lotte tra Pokémon è ridotta a neanche troppo grande edificio completamente vuoto e asettico, con un unico stanzone centrale all’interno del quale si avvicendano i Superquattro. Di quest’ultimi, due sono anche capopalestra riciclati in una “nuova” veste nel tempo libero. E poi il megadirettoregalattico la Supercampionessa Alisma, anonima quasi quanto la sua squadra (perché Glimmora e non Kingambit come ultimo?). Della maestosità e solennità delle leghe precedenti non è rimasto nulla, sembra un giro in municipio per rifare la carta d’identità.

“Scusi se l’abbiamo sistemata su una sedia, ma il divano è impegnato per un provino nella sala accanto.”

La storia, infine. La colonna portante di questi titoli, una narrativa che sembrava dovesse rappresentare un vero punto di svolta nella serie, concentrandosi su tematiche forti e sempre attuali quali bullismo e abbandono, fino alla sofferenza per la perdita. Tutto molto bello, sulla carta. Purtroppo la realizzazione è in linea con lo sviluppo tecnico fin qui raccontato. La storia di Cassiopea e dei membri del Team Star appare scontata dal primo incontro con ognuno dei leader. Ed è un peccato, perché i flashback coi dialoghi alla formazione del team ribelle sono interessanti e ben caratterizzano i loro protagonisti. Ma è il gameplay che stronca tutta la tensione, con le incursioni nelle basi imbarazzanti e Pokémon boss semplicissimi da affrontare. Piccolo appunto sui Pokémon “liberi” di combattere istantaneamente con i selvatici o con quelli delle reclute Star: una delle meccaniche peggiori della storia del franchise, completamente inutile sia per far fare esperienza al proprio Pokémon sia dal punto di vista dell’intrattenimento. È stato proprio divertente osservare il mio Quaquaval correre davanti a un Pokémon, dargli un colpo invisibile e veder scomparire l’avversario, il tutto per la modica cifra di 7 Punti esperienza di media.

L’errore a monte è stato non basare il gioco interamente sulla dea dolce Pruna.

La vera frustrazione

La portata principale è però l’esplorazione dell’Area Zero e l’indagine sulle sue criticità e sui Pokémon paradosso. E qui il miracolo: c’è QUALCOSA. Le musiche, l’esplorazione, l’aura di solennità, persino la deprimente qualità grafica è meno fastidiosa. Certo, le luci sono ancora più accese ed è abbastanza strano, considerando che ci troviamo in una fossa sormontata da nubi fittissime e perenni, ma ce ne facciamo una ragione. Tra gli altri Pokémon selvatici spuntano alcuni paradossi già catturabili, che ci vengono introdotti con la basilare missione che ci accompagna attraverso le varie basi sparse per la mappa. Ma la grande sorpresa sono i dialoghi, ricchi e credibili, che caratterizzano i nostri compagni d’avventura meglio di quanto non abbiano fatto tutte le didascalie apparse in precedenza. Il loro scorrere durante il cammino del giocatore, come se il gruppo stesse parlando davvero mentre è alle prese con l’avventura, è stato un barlume di ispirazione ormai insperata.
Molto apprezzato anche l’incontro tra i due “gemelli” leggendari e il loro rapporto semi belligerante (ma molto meno il fatto che il Koraidon/Miraidon da noi catturato non sia quello che ci accompagna per tutta la storia, ma quello che affrontiamo). Uno scontro che avrà il suo culmine nella battaglia finale contro l’IA di Olim/Turum, dove saremo noi stessi a infondere il coraggio necessario al nostro salamandrone per affrontare la sfida più ardua. Qui la sfida è scriptata in nostro favore, ma non è percepito come un problema.

Boia.

Le criticità dell’ultima parte di gameplay sono due, macroscopiche. La prima: non è concepibile, in un gioco che richiede quasi una trentina di ore per completare la missione principale, concentrare gli sforzi solo sull’ultima mezz’ora. Un discreto finale non può salvare un’opera complessivamente ben al di sotto della mediocrità, anzi, fa infuriare ancor di più pensando allo sviluppo evidentemente possibile per questo gioco, ma semplicemente non eseguito.
Il secondo: i Pokémon Paradosso. Qui affrontiamo l’elefante, anzi, il Donphan nella stanza. Passino i design dei paradossi del passato, alcuni anche molto ben fatti e ispirati; ma i paradossi del futuro, in Pokémon Violetto, sono una delle più grandi idiozie mai viste da quando possiedo una qualsiasi console. Perché sono tutti, TUTTI robot? Perché? Neanche Asimov previde, nell’anno 12000, che i robot avrebbero soppiantato animali ed esseri umani, perché diavolo dovrebbero farlo i Pokémon robotici? È l’elemento più dannoso che questi titoli forniscono alla storia di questi giochi un tempo gloriosi, poiché è una pietra tombale sull’inventiva di chi, questi giochi, li ha creati nel lontano 1996. Non provate nemmeno a dare la colpa al povero Turner, quando sono le idee dei designer storici che sono finite, c’è bisogno di gente entusiasta e con nuova verve, con idee fresche e realizzabili. Come direbbe Norman Osborn, “bisogna tornare alla progettazione”.

Signorina la ringrazio ma le ricordo ancora una volta che sono minorenne…

Dopo la storia principale, nel postgame e nei DLC

Sul multigiocatore inutile esprimersi, è ormai una barzelletta: i “raid” non funzionano mai al 100%, non c’è modo di capire l’ordine degli attacchi e in moltissimi dei casi un ordine impartito al proprio Pokémon non viene recepito dal sistema. È addirittura un passo indietro rispetto all’idea sviluppata in Spada e Scudo, acerba ma molto interessante, qui devastata da limiti tecnici incomprensibili.
I leggendari delle catastrofi, il Quartetto nefasto, sono una grande occasione sprecata. A parte l’oscena modalità per sbloccarli (andare in giro sperando di trovare dei paletti piantati a terra, idea palesemente ispirata ai semi Korogu ma senza il tipico mordente dei mini-enigmi), potevano essere loro stessi il centro di un’intera storia, di un intero gioco basato su di loro e sul loro risveglio. E invece li ritroviamo relegati al ruolo di semplici portasfiga rinchiusi in alcuni buchi nelle colline di Paldea, con la magra consolazione di avere l’ispirazione per il design molto bella e una OST tra le migliori del gioco.

Lo ammetto, spenderei miliardi per una carta di Ditto con quell’artwork.

In molti credevano poi che i due DLC potessero far recuperare qualche punto a un finale che, per quanto interessante, lasciava troppi interrogativi e non era davvero conclusivo. Ebbene, tralasciando le meccaniche e gli indecenti minigiochi (sia per gameplay che per resa a schermo), La maschera turchese si rivela uno stucchevole riempitivo in attesa dell’uscita de Il disco indaco, dove la storia si rivela nient’altro che una scopiazzatura di quella del gioco base riproposta in una versione accelerata, quasi fosse una speedrun dell’avventura principale; cambiano solo i personaggi, che hanno il carisma di uno sgabello e non hanno la benché minima crescita (sì Rubra, sto parlando di te). Il povero Riben prende pizze in faccia tutto il tempo, si fa comandare a bacchetta e, tentando di catturare il tartarugone cristallone, rende persino inutile una Master Ball. Qualcos’altro?

Il Pokémon numero 1000 poteva essere solamente così: una pacchianata anni ’90. Ed è BELLISSIMO.

In conclusione

I miei dolci colleghi di redazione non sono stati così duri nella valutazione generale, ma ahimé non riesco a essere così sobrio. Questo gioco non diverte mai. È stato un errore, a mio parere, per GAME FREAK pubblicarlo così com’è. È stato un errore, per me, giocarlo, togliendo del tempo prezioso ad altri giochi meritevoli di attenzione. Il nome Pokémon non basta più: non si può mettere un’insegna al neon sopra a una discarica e sperare di trasformarla in un albergo a 5 stelle. Se volessi dare un voto, sarebbe un 2: ma non è tanto la frustrazione di aver giocato a un gioco brutto a farmelo valutare in questo modo; è la tristezza di aver giocato a un gioco Pokémon talmente brutto da far maturare in me la consapevolezza che, forse, di giochi Pokémon belli non ce ne saranno più.

Pokémon Scarlatto e Pokémon Violetto non fanno nulla per adeguarsi al minimo standard qualitativo richiesto dai giocatori e dall’industria videoludica odierna. Tutto ciò che questi titoli propongono è fatto male, oppure sbagliato, spesso addirittura rotto. Questa coppia di giochi sarà l’ultima della serie Pokémon che verrà giocata da chi vi parla, a meno di durissimi cambi di rotta nel prossimo futuro. Questi giochi sono, per gli appassionati di Pokémon, dei giochi rovinosi, dannosi, esiziali.

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