Il Totodile che mi spiegò la vita

Correva l’anno 2001 quando per la prima volta testai con mano quella che sarebbe diventata una delle ossessioni più ingestibili della mia esistenza. La cartuccia dorata scoccò piacevolmente una volta inserita in quel piccolo capolavoro di elettronica che era il mio Game Boy Color giallo; poi un click sulla levetta dell’accensione ed ecco la mia vita cambiare per sempre.

Pokémon Versione Oro, questo il nome di quella cosetta che mi fece perdere la testa in un giorno d’estate come un altro. Un gioco che ha segnato moltissimi ragazzi e ragazze della mia generazione regalando ore e ore di avventure e sogni ad occhi aperti, alimentati da pixel freddi e sterili, ma mai così fecondi di incanto. Sono molti gli insegnamenti tratti da questo gioiellino dell’intrattenimento, tanto da condizionare a volte il modo in cui percepisco la realtà e la condizione umana. Ai tempi internet esisteva, certo, ma non a questi livelli. Se oggi conosciamo ogni nuovo Pokémon già mesi prima dell’uscita della nuova versione, nel 2001 potevamo ancora assaporare quel piacere della scoperta che è difficile descrivere a parole. Ai pochi sfortunati che non hanno potuto godere a suo tempo di questa stimolante esperienza videoludica, pensate all’emozione fanciullesca nello scartare un enorme pacco regalo nel giorno del vostro compleanno.

Vedere evolversi i nostri Pokémon era forse il momento più magico dell’esperienza. Perché sì, volenti o nolenti, si creava un legame affettivo con quelle creaturine dallo scheletro in codice binario e la pelle in pixel, un rapporto che qualcuno definirebbe folle, ma non per questo meno genuino di uno vissuto nel piano reale delle cose. Vedere il nostro amico iniziare questa sua trasformazione irreversibile garantiva quel pizzico di malinconica euforia che si mescolava alla curiosità per l’imminente futuro. “Il mio Totodile se ne sta andando per sempre. Cosa diventerà? Sarà un bel coccodrillo? Sarà blu, azzurro, forse giallo? Avrà le pinne o le zampe? Gli vorrò ancora bene come prima?”.

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Ma come una madre proverà sempre un sentimento genuino nei confronti del figlio, sia egli un tenero infante che un villoso adolescente, così noi eravamo in fondo sicuri che avremmo sempre amato la nostra creatura adottiva, fosse egli stato un cicciotto e svampitello Croconaw o uno smargiasso e strafighissimo Feraligatr. Nel corso di un viaggio che diventa fonte di prezioso arricchimento personale, fin dai primi passi nel Borgo Foglianova. Quel Totodile che è rimasto al nostro fianco anche quando le sue energie sembravano al limite, cresciuto grazie e insieme a noi, scontro dopo scontro, città dopo città. Perfino al termine del nostro viaggio, sulla cima del Monte Argento, summit fisico e metaforico della nostra avventura e prova finale dal sapore di maturità raggiunta, Feraligatr combatterà ancora una volta al nostro fianco.

Uno scontro finale dalla potenza unica nella storia di Pokémon.
Uno scontro finale dalla potenza unica nella storia di Pokémon.

L’evoluzione è qualcosa che non deve essere intesa come una rivoluzione, bensì come il risultato di un percorso in cui i protagonisti sono il tempo, l’amore e l’esperienza, coinvolti in una danza primordiale che genera qualcosa di nuovo e mai visto prima, ma che al contempo nel nucleo più intimo rimane esattamente ciò che finora era stato. Così come un Pokémon evolvendosi mantiene mosse e natura, così l’essere umano e i rapporti personali possono mutare di forma, ma difficilmente la sostanza. Grazie all’amore, inteso come quel sentimento che ci lega affettivamente al prossimo, indipendentemente dal senso ristretto che generalmente associamo al termine, saremo in grado di oltrepassare le apparenze e comprendere la natura vera di ciò che ci appare mutato, evoluto rispetto al passato. Ecco perché tendiamo a connotare positivamente l’evoluzione, nonostante implichi in qualche modo la perdita permanente di qualcosa destinato a cambiare.

Essa rappresenta la prova definitiva che siamo in grado di apprezzare l’essenza di ciò che amiamo, quella purezza che porta i nostri nonni a guardare con dolcezza la moglie segnata dal tempo e dalla vecchiaia, come se fosse ancora la bellissima ragazza che tanti anni fa gli aveva rubato il cuore, e ad abbracciare quel nipote capellone e tatuato nel cui sguardo scorge tutt’ora quello scricciolino che ha visto nascere, crescere e imparare a sua volta ad amare.

Ecco perché, dopo quindici anni, provo ancora un incredibile affetto per quel Totodile, ormai Feraligatr grosso e irriconoscibile, che incredibilmente mi ha aiutato a capire questo pazzo mondo reale.

 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su L’Ulcera del Signor Wilson, numero di Luglio/Agosto.

L’artwork è opera di SerpentsShipmate. Qui potete trovare i suoi lavori.

2 thoughts on “Il Totodile che mi spiegò la vita

  1. Incollato allo schermo dal titolo all’ultima riga. Concentrato di ricordi, nostalgia ed emozione.
    Complimenti all’autore, il sesso dopo.

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