Credo ormai che i miei gusti in fatto di videogames siano ben noti: adoro la saga di Zelda, piango sperando in un prossimo Metroid serio, gioco a Pokémon, sono una schiappa a Smash ma mi diverto comunque a giocarci e così via. Non deve così stupire che il mio genere preferito di videogiochi sia sicuramente quello degli RPG; ma non i role-playing game classici, no, quanto nello specifico i JRPG. Ne consegue che quando Nintendo ha annunciato l’uscita di Xenoblade Chronicles Definitive Edition per Nintendo Switch ne sono stato molto felice.
Parentesi storica
Faccio un piccolo riassunto per chi ha vissuto sotto una roccia negli ultimi dieci anni (ma la storia inizia ben prima) e non conosce Xenoblade Chronicles. L’anno è il 2010, e Nintendo ha sul mercato ormai da quattro anni Nintendo Wii (e in cantiere quel flop commerciale che si rivelerà in seguito WiiU). È una console già vecchia, sul viale del tramonto. Nessuno si aspetta quindi l’arrivo sul mercato, prima nipponico e poi europeo (gli americani dovranno aspettare di più e firmare petizioni su petizioni per le localizzazioni), di una triade di giochi destinata a passare alla storia del genere JRPG, sebbene siano titoli tutto sommato di nicchia, o quasi. Sto parlando di Pandora’s Tower, The Last Story e, ovviamente, Xenoblade Chronicles: quest’ultimo viene sviluppato da Monolith Soft, società fondata da Tetsuya Takahashi nel 1999 insieme ad alcuni nomi noti per i fan dei titoli di Square Enix (all’epoca solo Square Soft), come Soraya Saga (moglie di Takahashi), Yasuyuki Honne o Hirohide Sugiura, che se ne andarono poi da Square per dissapori interni. Titoli noti di Monolith sono ad esempio Xenosaga 1, 2 e 3 (successori della prima “opera Xeno”, Xenogears, sviluppato da Takahashi in origine come bozza per Final Fantasy VII), la serie di Baten Kaitos e Soma Bringer. Dal 2007 sono uno studio consociato a Nintendo e hanno collaborato a diverse loro produzioni, come ad esempio Breath of the Wild e il suo sequel. È in questo contesto storico e videoludico che esce appunto il primo gioco di una trilogia apparentemente disconnessa, sulla console più improbabile di tutte per questo genere di giochi.
Inutile dire che passai ore e ore e ore… insomma, ci siamo capiti, in quel mondo virtuale fatto di sidequest (molte sidequest), mostri strani, Homs (la razza umana presente nei giochi), Haientia (un’altra razza umanoide) e Nopon in un’ambientazione decisamente particolare (tante aree aperte collocate su due titani addormentati, Bionis e Mechanis).
Il gioco mi prese così tanto che, per riuscire a finirlo, comprai WiiU: sfortuna volle, infatti, che il lettore di dischi di Wii si rompesse, e in quelle condizioni non avrei potuto più giocare ai giochi i cui dischi erano a doppio strato.
In seguito usciranno, come facenti parte della saga Xenoblade, altri due titoli. Il primo lo ritengo una delle migliori trollate videoludiche uscite dalla Grande N: Xenoblade Chronicles (meglio conosciuto come Xenoblade Chronicles X, o XCX, per distinguerlo dall’originale “XC”). Il secondo è invece lo stupendo Xenoblade Chronicles 2, o XC2, col suo DLC Torna: The Golden Country. Entrambi i titoli, come già accennato quasi del tutto scollegati dall’originale e dagli “altri Xeno” (Gears e Saga, appunto).
Xenoblade Chronicles Definitive Edition: una versione definitiva dopo gli orrori del 3D?
È in questa ottica, quindi, che a circa dieci anni di distanza ho deciso di comprare la Definitive Edition di Xenoblade Chronicles, sperando di ritrovare tutto quello che avevo trovato anni fa.
Ho volutamente evitato di comprare la versione “remastered” (anche se, per certi versi, è più definibile un downgrade) uscita qualche anno fa come titolo esclusivo per New Nintendo 3DS, e a posteriori non posso che ritenermi soddisfatto della scelta: quella versione soffriva infatti di molti, troppi problemi di natura tecnica, e l’aggiunta solamente di un lettore musicale e una funzione per vedere i modelli di personaggi e nemici non giustificava affatto l’acquisto.
Ho invece aspettato in trepida attesa la data di uscita di questa versione, la “versione definitiva”. Avevo già spolpato all’osso il gioco originale per Wii: il titolo era valido, la trama buona (anche se è praticamente una revisione di varie altre trame classiche da JRPG), i personaggi ben caratterizzati, le location molto varie e ben fatte; insomma, ore e ore di gioco pronte per essere rivissute in una nuova veste grafica, aspettandomi sostanzialmente lo stesso gioco con qualche aggiunta o modifica non caratteristica. Mi sbagliavo.
Sì, le sidequest sono sempre lì pronte a farmi perdere le prossime 2/300 ore di gioco (no, davvero, non sto scherzando quando dico che sono tante), i personaggi sono sempre quelli, la storia è sempre valida, e tutto quello di buono che si può dire per l’originale è valido anche per questa versione del gioco; l’aggiunta dei costumi cosmetici mi permette di non arrivare al boss finale con i personaggi vestiti a caso ma come voglio io (sì, incluso il classico “si può battere il boss finale in costume da bagno e infradito”); ho trovato anche interessante l’idea di inserire una modalità arena/time attack.
Ma ci sono dei ma. E alcuni sono grossi quanto una casa, anche se è dura ammetterlo.
Difetti visibili e invisibili
No, ovviamente non sto parlando delle critiche sulla qualità grafica (ragionevoli, dato che il gioco non raggiunge i 1080p canonici in modalità fissa e i 720p in modalità portatile); sto parlando di altre, piccole cose, che però sommate danno un retrogusto dolceamaro alla run che ho in corso. Ad esempio il fatto che abbiano rimosso la shortcut per cambiare l’orario del gioco (importante magari per incontrare un dato NPC che si trova in un certo luogo solo a una certa ora, o per cambiare il tempo atmosferico e trovare nemici differenti) e che quindi mi obblighino ogni volta a navigare nei menu di gioco. In secondo luogo, il piacere della scoperta non è più quello della prima run. La trama la ricordo a menadito da quanto mi aveva preso la prima volta; i luoghi, così iconici alla prima visita e tutte le volte che ci sono tornato per una missione, ora mi danno un senso di già visto; per quanto riguarda i personaggi so già che fine farà questo o quel personaggio secondario, cosa mi dirà o quando dovrò fare una quest per lui. Questo, ovviamente, non è responsabilità di Monolith; ma, per rimanere in argomento, c’è una modifica nel design di uno dei personaggi secondari più importanti della storia che proprio non mi va giù.
(ATTENZIONE: seguono grossi spoiler di trama per XC e XC2!)
Alvis, che per buona parte della storia ci verrà presentato come un Homs con poteri di divinazione al servizio della casa reale degli Haientia, nel finale del gioco si scoprirà in realtà essere una IA proveniente da un’altra dimensione. Nello Xenoblade Chronicles originale al collo aveva un ciondolo con una chiave; nella Definitive Edition la chiave è stata sostituita da un cristallo rosso dalla forma decisamente familiare, per chi ha giocato gli altri Xenoblade e anche gli altri Xeno. È infatti la forma degli Zohar di Xenogears e Xenosaga (monoliti di origine ignota, più vecchi dell’intero universo e con poteri divini), la forma del supercomputer di bordo della Blue Whale di XCX e soprattutto la forma dei Cristalli nucleici delle Aegis Pyra/Mythra e Malos di XC2. Ed è probabilmente un riferimento a questi due il motivo di questa variazione di forma.
Il motivo per cui credo sia così è perché nel finale di XC2 si scopre che quell’universo e quello in cui vivono Shulk, Reyn e Fiora sono connessi da una origine comune. A seguito di un esperimento scientifico fallito, infatti, la Terra è andata persa e al suo posto è comparso l’universo di XC2, ma al contempo è stato creato l’universo di XC. Lo scienziato a capo del progetto, Klaus, usava per i suoi esperimenti un supercomputer gestito da tre oggetti, noti col nome collettivo di Processore Trinità. Questi tre oggetti erano conosciuti invece individualmente come Ontos, Logos e Pneuma. Ontos andò perso in un’altra dimensione “in un esperimento scientifico” (così raccontato da Klaus in persona), mentre Logos e Pneuma diventeranno in seguito, come già detto, i cristalli rispettivamente di Malos e Mythra.
Risulta quindi abbastanza scontata l’associazione Alvis-Ontos. Ma dal mio punto di vista è qualcosa di totalmente scorretto: prima di tutto, è Klaus stesso a raccontare questa storia ai protagonisti di XC2; se l’esperimento in cui Ontos è andato perduto fosse stato lo stesso che ha creato i due universi, sarebbe stato utile rivelarlo in quel momento. In secondo luogo, la chiave come ciondolo, per come è sviluppata la trama di Xenoblade, è molto più significativa di un Cristallo nucleico, quasi ad indicare una specie di “Chiave del Destino” che nel finale Alvis consegna metaforicamente a Shulk e – di conseguenza – al giocatore.
Future Connected, more like disconnected
Ma veniamo alla grossa, grossissima delusione di Xenoblade Chronicles Definitive Edition. Sto parlando di Future Connected, una sorta di “sequel” della storia principale, ma già sbloccato al primo avvio. In questo segmento ritroviamo Shulk e Melia (un altro personaggio della squadra dei protagonisti di XC) che, al termine della storia principale, si ritrovano in una nuova area di Bionis per ritrovare la città natale della ragazza. È qui che vengono attaccati da un misterioso raggio nero, e ritrovano alcune vecchie conoscenze dalla storia principale (quattro NPC, due dei quali in questa modalità diventano anche giocabili) e nuovi personaggi.
Le premesse sembrano decisamente interessanti, peccato che l’esecuzione manchi parecchio: due sole aree di gioco (una per giunta riciclata dalla storia principale), una manciata di sidequest e una storia che dura sì e no una quindicina di ore. Grinding per livellare incluso. Se paragonato a Torna: The Golden Country, il DLC di Xenoblade Chronicles 2, è il nulla cosmico.
La storia può anche essere interessante, ma non viene per nulla approfondita, e l’unica crescita dei personaggi avviene non nei personaggi principali, ma in quattro NPC. L’antagonista non viene in alcun modo approfondito. Viene nominato, lo si incontra una volta in una cutscene, lo si affronta nel duello finale, si capisce (vagamente) da dove arrivino i suoi poteri (che vengono comunque annullati da un deus ex machina) e basta. Nessuna spiegazione della sua origine, nessuna costruzione della trama per arrivare allo scontro finale, niente scontro (all’apparenza) impossibile da superare, niente di tutto ciò. Solo alcune domande, poche, che rimarranno senza risposta.
Persino l’unico antagonista secondario è abbastanza dimenticabile.
L’unica cosa che salvo di questa storia extra è la chiusura di un arco di redenzione di un personaggio secondario già incontrato durante la storia principale.
Future Connected è esattamente come XCX. Ha una buona storia, un’ambientazione tutto sommato interessante, e basta. Il resto? Non pervenuto. E infatti non mi stupirei (per motivi che esulano da questa recensione) se Future Connected potesse servire da collegamento tra Xenoblade Chronicles Definitive Edition e uno “XCX Deluxe” che verrà annunciato in futuro.
Xenoblade Chronicles Definitive Edition: quanto ne vale davvero la pena?
E veniamo così alla annosa questione: è un titolo da acquistare? È un titolo da tenere nella propria raccolta?
Dal mio punto di vista, se non avete mai giocato l’originale su Nintendo Wii, o l’orribile versione per n3DS, la risposta è sicuramente sì. Ma se avete già giocato a questo titolo consiglierei di valutare bene l’acquisto. Se lo fate per nostalgia, per rivedere Shulk, Reyn, Riki, Bionis, per affrontare i Mechan, compratelo pure. Se invece volete solo completare la storia extra, andrete invece incontro a una cocente delusione.
Cosa ne pensate? Avete già comprato il gioco? Che opinione vi siete fatti? A che punto della storia siete? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti qua sotto.
Classe 1994, nintendaro dalla nascita. Ha quasi finito l’album delle figurine Pokémon uscito nel lontano 1999, e da allora è alla ricerca del Mew mancante. Ha iniziato a giocare a Pokémon con Oro quando ormai era già uscito Cristallo, ma da allora non si perde un’uscita della saga. Odia scrivere bio abbastanza sarcastiche in due righe.