Sono passati ormai dieci anni da quando, nel 2011, venne lanciato sul mercato Dark Souls, un action RPG destinato a cambiare la storia di questa epoca videoludica; e il 25 maggio 2018 (19 ottobre, per Nintendo Switch) è uscita la sua versione Remastered, annunciata già dal gennaio 2018. Il successo di questo titolo dipende da tantissimi fattori, uno su tutti la difficoltà: per tantissimi giocatori, infatti, il titolo di casa From Software è il simbolo di una difficoltà estrema che caratterizza il gioco al di là delle sue reali intenzioni. Non è difficile leggere “il nuovo Dark Souls” ogni volta che esce un gioco piuttosto impegnativo, nonostante la categoria sia completamente diversa (ad esempio Cuphead). La verità è che Dark Souls (e Dark Souls Remastered) non è così tanto difficile, piuttosto è impegnativo entrare nelle sue meccaniche e capire come poter destreggiarsi in quel che è la terra di Lordran.
Il Santuario del Legame del Fuoco, l’hub centrale che accoglierà il giocatore appena dopo il tutorial, introduce già la complessità della mappa di gioco sin dall’inizio dell’avventura.
Questo gioco, al di là dell’immenso muro che un giocatore è costretto a superare quando inizia la propria avventura, è diventato uno dei più iconici videogiochi del nuovo millennio per svariati motivi. Uno di questi è sicuramente la mappa, interconnessa nei più piccoli dettagli. Se si escludono un paio di posti, volutamente isolati secondo una precisa logica narrativa, tutti i luoghi del gioco sono collegati da innumerevoli scorciatoie, e contengono segreti e oggetti che permettono al giocatore di capire molte più cose di quanto apparentemente sembri.
La prima metà del gioco, ad esempio, è quasi un open world: tantissime aree esplorabili senza alcun tipo di continuità richiesta, quasi tutte collegate perfettamente tra di loro, con l’ordine in cui affrontare i boss a discrezione del giocatore. Questa caratteristica può rivelarsi particolarmente nociva per chi gioca, ma la casa nipponica ha fatto un ottimo lavoro nell’indirizzamento dell’avventura: se è vero che “sbagliando strada” si può arrivare ad un boss troppo difficile per quel livello, è anche vero che la strada per arrivarci sarà piena di nemici più forti che costringeranno (o quasi) il giocatore a tornare indietro e scegliere un altro percorso, che con molta probabilità si rivelerà più adatto.
Questa, ad esempio, è la mappa della Fortezza di Sen, lo spartiacque tra le due metà di gioco.
La magia di Dark Souls è proprio la capacità di rendere giocabile e rigiocabile questa mappa incredibile nel modo più semplice possibile, lasciando che le cose veramente difficili siano spesso opzionali o difficili da raggiungere, in modo che i meno esperti non rimangano bloccati in parti del gioco che non sono in grado di superare. I boss, infatti, sono spesso molto difficili ma solo a primo impatto, perché non si conoscono mosse, debolezze, ecc. Quando il giocatore inizia a prenderci la mano, ecco che tutto piano piano si fa più facile, fino a garantire un’ottima capacità di adattamento a un po’ tutti i tipi di ambiente.
La diversità è immensa e non annoia mai il giocatore, il tutto senza mai stonare: a ragni infuocati nelle paludi si alternano draghi di cristallo in un castello o demoni giganti nei posti più improbabili, che rendono l’avventura sempre più godibile man mano che si va avanti con la storia. La possibilità di potersi creare diverse build, inoltre, aumenta notevolmente la godibilità della propria avventura e di successive; non è niente di nuovo ma è giusto sottolinearlo. Di conseguenza, anche il parco armi ed armature è molto ampio e quasi ognuna di esse ha caratteristiche e mosse uniche, rendendo speciale ogni singola volta che si vincola il fuoco. Perché alla fine, dopo aver passato svariate ore ad uccidere ogni sorta di nemico, vincolare il fuoco è forse l’unica cosa comprensibile di tutto il gioco oltre al prologo iniziale.
Il Nano Furtivo, che nel prologo viene mostrato mentre ruba l’anima oscura.
Se abbiamo quindi analizzato i motivi per cui questo titolo è diventato così iconico per la maggior parte dei videogiocatori, ora bisogna analizzare il perché sia stato, almeno inizialmente, così di nicchia. Dietro a Dark Souls, infatti, si è sviluppato un background basato sulla lore di questo titolo, una delle più grandi e più coinvolgenti della storia videoludica. Laddove non si capisce nulla di quello che si sta facendo, in realtà è tutto spiegato nei minimi dettagli, attraverso ubicazioni, descrizioni e dialoghi nascosti che svelano un universo enorme. La quasi totalità degli oggetti (che siano spade, anelli o gambali) ha delle caratteristiche uniche sia di gameplay che di narrativa che, se unite tra di loro, rendono anche il più classico degli equipaggiamenti un punto indispensabile per la formazione di qualcosa molto più grande. Grazie ad un vero e proprio studio, i fan più accaniti hanno ricostruito un mondo unico che sembrava potesse essere compreso solo dalla mente di Hidetaka Miyazaki, il creatore di questo universo.
Tramite questo processo, infatti, la comunità videoludica mondiale ha preso coscienza di questa “storia aggiuntiva”, la vera e propria lore del gioco, complice soprattutto il boom che Internet ha avuto nell’ultima decade. Grazie all’immenso sviluppo che ha avuto il web, infatti, Dark Souls ha ottenuto un successo molto maggiore rispetto a Demon’s Souls, il primo vero titolo della serie e prequel spirituale di questa incredibile avventura targata From Software: a tutte le domande su boss ed enigmi, aree segrete, trucchi, scorciatoie e lore, in breve si è potuto dare una risposta, fattore che al contrario limitò molto l’opera precedente (che comunque non passò assolutamente inosservata e venne insignita di diversi premi, tra cui quello di Game of the Year).
L’anello Patto del Gatto, che permette di aderire ad una covenant, la cui descrizione narra dei legami tra il gatto Alvina, il cavaliere Artorias e Sif, il grande lupo grigio.
Sin dall’inizio del gioco l’atmosfera è particolarmente cupa ed il giocatore si ritrova in un mondo maledetto come ultimo baluardo di speranza. I personaggi del gioco, alcuni molto famosi e amati dalla community (Solaire di Astora e Siegmeyer di Catarina su tutti), sono principalmente cavalieri tipicamente romantici che ormai hanno perso tutto quello che avevano e cercano disperatamente un motivo per sopravvivere e non essere corrotti dalla maledizione che attanaglia Lordran. La stragrande maggioranza di ciò che si incontra è ostile e di quei personaggi ancora sani solo in pochi saranno veramente buoni, poiché molti potrebbero ingannarci da un momento all’altro o, addirittura, perdere la ragione. Tra maghi potentissimi rinchiusi in gabbie segrete, piromanti in procinto di essere scuoiati vivi e cavalieri che si sono arresi davanti a nemici troppo potenti, non si respira certo una bella aria e forse è anche per questo che il titolo ha colpito così tanto i videogiocatori di tutto il mondo.
Nonostante i relativamente pochi dialoghi presenti nel gioco, le frasi dei personaggi (in questo caso il già citato Solaire di Astora) sono molto belle e profonde.
Da un punto di vista prettamente tecnico, Dark Souls, purtroppo, è un gioco invecchiato piuttosto male. Tuttavia, la grandezza di questo gioco riesce a compensare i difetti tecnici che From Software sembra quasi abbia voluto mantenere apposta nel corso degli anni, come la telecamera non esattamente impeccabile o i colpi nemici in grado di attraversare le pareti. È un titolo con sicuramente tanti difetti, i quali però non impediscono a questo gioco di essere pioniere del suo genere e di tanti altri dopo di lui. Il 19 ottobre, quindi, è uscito Dark Souls Remastered per Nintendo Switch, che ci porta otto anni dopo in una Lordran rimasta pressoché identica e che non migliora sostanzialmente nulla, aggiungendo il DLC Artorias of the Abyss e giusto un paio di dettagli e di comodità che mancavano nella versione originale. La vera novità legata a questa riedizione è proprio lo sbarco su una console della grande N, prima volta assoluta per From Software.
Per quanto riguarda la conversione su Switch, con Dark Souls Remastered il risultato non è dei migliori ma sicuramente funziona: i Joy-Con Nintendo non sono decisamente i più adatti ma alla fine il risultato è comunque apprezzabile, complici anche i 30fps stabili (che nella versione originale non erano per nulla scontati). Alla fine dei conti Dark Souls non è mai stato ottimizzato bene nemmeno per PC, e con questa sua versione Remastered su Switch è un po’ come se i giocatori Nintendo stessero giocando alla versione originale del 2011; in ogni caso, è un’ottima occasione per tutti: gli appassionati potranno giocarci ovunque senza restrizioni particolari mentre i novizi, che non conoscono a pieno le potenzialità tecniche del gioco, non si faranno troppi problemi e avranno la possibilità di giocare ad un’opera che ha segnato a fondo tutta l’industria videoludica moderna.
E voi cosa ne pensate? Avete giocato a Dark Souls Remastered su Nintendo Switch? Fateci sapere la vostra.
Sì ok tu sei cinturanera però io sono un ’97 con ben pochi interessi nella vita e non esattamente contento di respirare. Sfogo la mia rabbia repressa contro Alola e Hidetaka Miyazaki.