[RECENSIONE] Pokémon Ultrasole e Ultraluna

Su Pokémon Sole e Luna si è detto tanto. I giochi che hanno celebrato il ventennale della saga hanno messo d’accordo la maggior parte degli appassionati: una regione mozzafiato, una storia emozionante e tanti personaggi che si alternano nella trama principale con cura ed eleganza. Quando però è stato annunciato che a seguire sarebbero arrivati Pokémon Ultrasole e Ultraluna, non sequel, ma storie alternative a Sole e Luna, il pubblico ha iniziato a dividersi.

L’ultima volta che abbiamo giocato a una terza versione classica è stata con Pokémon Platino, quasi dieci anni fa.

Era da parecchio tempo che GAME FREAK non riproponeva lo schema a trittico della coppia di giochi con allegata in un secondo momento una “terza versione”; Pokémon Ultrasole e Ultraluna, infatti, si allineano nel loro concept a giochi come Smeraldo e Platino. I nuovi titoli ripercorrono la storia dei loro predecessori intervenendo qua e là per offrirci, in fin dei conti, un prodotto uguale ma piuttosto diverso. Siamo lontani anni luce dall’idea di sequel proposta in Bianco 2 e Nero 2: non dobbiamo infatti approcciarci a questi giochi sotto quest’ottica, errore in cui evidentemente molti nella terra del Sol Levante sono caduti stroncando il titolo su Amazon a soli due giorni dall’uscita – quando ancora non si potevano apprezzare le differenze con i “titoli genitori”.

Con la critica che li esalta e i fedelissimi giapponesi che li stroncano, qual è la verità su Pokémon Ultrasole e Ultraluna?
Andiamo con ordine.

Il viaggio di formazione

Pokémon Ultrasole e Ultraluna riprendono la tematica principale di Pokémon Sole e Luna, sfruttando come i suoi predecessori uno dei leitmotiv letterari più famosi: il viaggio di formazione, quel percorso fisico – ma soprattutto psicologico – che porta i giovani protagonisti all’affermazione di sé, della propria forza e del proprio ruolo all’interno di quel complicato sistema chiamato mondo, attraverso grandi avventure, ostacoli più o meno difficili da superare e mille insegnamenti nascosti anche negli eventi più insignificanti.

Il motivo del viaggio di formazione lo si riscontra, ora più forte che mai, in tutti gli ambiti del gioco: c’è Lylia, che fugge dall’Aether Paradise e vi ritorna come una ragazza completamente diversa; c’è Hau, che si ritrova a confrontarsi con il suo stesso modo di vivere, soprattutto nei rapporti con il proprio Pokémon e il nonno Hala (vera novità rispetta a Sole e Luna); sopra ogni cosa c’è l’intera regione di Alola, un arcipelago mozzafiato, forte e consapevole come i suoi allenatori, che tuttavia cerca di legittimarsi e affermarsi sul piano internazionale con la costruzione della Lega Pokémon, lasciando intendere che finora le cose per gli aloliani non siano andate poi così bene. A tal proposito basti pensare alle pagine di diario intitolate Ad Alola ero qualcuno nella Biblioteca di Malie, dove un giovane Campione del Giro delle Isole visita le altre regioni e subisce sonore sconfitte, una dopo l’altra. Allo stesso tempo, non è difficile trovare turisti e vacanzieri stupiti dalla forza travolgente dei ragazzini di Alola, come la Giramondo del Canyon di Poni che, se sfidata, ci saluta stupita della nostra presenza in un posto del genere (“Il Giro delle Isole passa anche da qui? I ragazzini di Alola devono essere fortissimi!”)

Lei, come sempre, è un tesoro.

La bellezza sta nelle piccole cose

Ma al di là delle tematiche mutuate direttamente da Sole e Luna, una delle primissime cose che si possono apprezzare nella nuova Alola è il fatto che la regione sia ancora più viva e reattiva di prima: già dalle prime interazioni con gli abitanti di Mele Mele infatti si aprono spaccati sulla vita quotidiana di bambini, anziani, pescatori e donne di città, che spesso ci affidano piccole missioni di vario tipo. Si va dalla classica richiesta di cattura a incarichi dal gusto squisito, come catturare una banda di sfrenati Pokémon criminali, ritrovare la proprietaria di una vecchia foto scovata tra le pagine di un libro, aiutare un gruppo di amici a ritrovarsi.

E non è tutto: molti di questi incontri speciali o anche sub-quest, se così vogliamo chiamarle, hanno un gusto deliziosamente creepy. È questo il caso del bambino che gioca a “costruire” un Sandygast sulla spiaggia, del nuotatore accerchiato dai Frillish, dei ricordi di una bambina accompagnata a scuola quando da un Hypno, quando da un Drifloon. Eventi di poco conto, se non fossero confrontabili con le descrizioni Pokédex di questi Pokémon, che ci aprono davanti uno scenario completamente diverso.

Quotidiane situazioni alla Ghostbusters.

Il bianco e il nero

Ma non sono nemmeno queste piccole cose che rendono Pokémon Ultrasole e Ultraluna, a mio dire, le migliori terze versioni dell’intera saga; perché non sono solo gli abitanti di Alola, che casualmente incrociamo nel nostro viaggio, ad avere qualcosa in più da dire. Infatti la storyline modificata che ci presentano questi due nuovi titoli sembra quasi solo un pretesto per esplorare meglio le personalità dei personaggi principali, con loro il piccolo universo di Capitani e Kahuna che vi orbitano intorno. Pensiamo al già citato Hau, che quasi bisticcia con il suo starter, a Tapso e al suo rapporto con Chrys e Kukui, a Ibis che scompare nella Giungla Ombrosa per una sessione di aromaterapia e Kawe con il famigerato Montanaro.

Spostandoci sull’asse della trama principale, inoltre, troviamo i fratelli Iridio e Lylia stavolta ben consapevoli della tragedia del padre e dei difetti della madre, ma soprattutto scopriamo che Samina e Guzman sono degli antagonisti ancora meno “cattivi” di prima. In Sole e Luna non lo erano certo stati, intendiamoci, ma stavolta le loro azioni sono dettate da un piano più o meno ragionevole, e non da una malata follia. I loro comportamenti risentono ovviamente di un disagio di fondo: da una parte abbiamo l’incredibile egoismo di Samina, la sua pretesa superiorità rispetto a chi la circonda e la sua eccessiva sicurezza; dall’altra c’è il complesso d’inferiorità di Guzman, che vede nella direttrice l’unica persona adulta che riconosce la sua forza (è la stessa Plumeria a raccontarcelo), e che lo porta a decidere di mettersi al suo servizio. In queste versioni c’è una minaccia che incombe sull’arcipelago: Samina e Guzman ne sono coscienti, e hanno intenzione di proteggere Alola, anche se il loro piano è ovviamente viziato dai difetti delle loro stesse personalità.

C’è chi ha gradito questa variazione di trama, preferendo la svolta “ragionevole” di Samina, ma ci sono anche molti che non hanno apprezzato, ritenendo che la follia della direttrice fosse un motore migliore per l’azione. Gusti a parte, non è difficile vedere l’insegnamento che GAME FREAK nasconde dietro a tutto ciò. Come in Sole e Luna, in cui i cattivi non erano veramente cattivi, anche qui possiamo leggere la stessa morale: non tutto è bianco o nero, ci dice Lylia, e noi possiamo dire di saperlo bene, grazie ad un ragazzino con i capelli verdi che ce l’ha insegnato un po’ di tempo fa.

A parte essere bello come il sole, questo ragazzo qua ha dato tanto alla saga Pokémon.

Insomma: se il punto forte di Sole e Luna erano i personaggi, in questi nuovi titoli non si fa che migliorare. Colpiscono, tuttavia, due assenze illustri: quelle di Bellocchio e Alberta, che nei giochi precedenti erano i protagonisti di un arco narrativo emozionante, mentre qui sono relegati a semplici comparse per loro stessa ammissione.
Un’occasione persa, e purtroppo, non la sola.

Quegli ostacoli rimasti insuperati

C’è infatti da dire che Ultrasole e Ultraluna non sono privi di difetti, anzi.
Rimanendo in tema di occasioni sprecate, infatti, non possiamo non citare l’Ultramegalopoli
, che non è altro che l’ennesimo Ultracorridoio che aveva scatenato le ire di molti fan ai tempi di Sole e Luna. Il paragone si crea, naturalmente, con Pokémon Platino: questo aveva infatti saputo darci un Mondo Distorto mediamente vasto, ben caratterizzato e regolato da un sistema di leggi fisiche ad esso esclusivo. Attenzioni che invece non sono state riservate a questi (ultra)mondi paralleli.

Va detto che ora le zone in cui trovare Leggendari e Ultracreature sono personalizzate in base ai mostriciattoli che vi si possono trovare, ma sempre Ultracorridoi rimangono. Un minimo sforzo in più li avrebbe tramutati in qualcosa di decisamente migliore – e memorabile.

Sarebbe potuta essere bellissima, e invece è un altro Ultracorridoio.

E non finisce qui: basti pensare alla cittadina di Poh, che (di nuovo) rimane cristallizzata nella devastazione operata dal Team Skull, anche quando ormai sono stati scacciati da tempo. Pioggia battente, reclute in mezzo alla strada, case abbandonate e Centro Pokémon vandalizzato: Poh rimane immutata, per sempre. Se poi si può discutere sulla diligenza di Augusto in quanto Kahuna, non si può comunque ritenere verosimile che nessuno in tutta Alola si attivi per far tornare la città alla normalità.

Nostalgia stucchevole

Parlando di vecchi complessi rimasti insuperati, non possiamo non citare quell’idea ormai fissa e immutabile che Kanto – e con lei, tutto ciò che caratterizzava la prima generazione – sia quel modello perfetto a cui rifarsi ogni volta in nome di quell’abusato senso di nostalgia secondo cui dovremmo dire quella cosa è come in Rosso e Blu, quindi è bella. Se già il concetto stesso di Forme di Alola (che vede come protagonisti esclusivamente Pokémon di Kanto) e il fatto che il protagonista sia originario di quella regione non fossero bastati, infatti, Pokémon Ultrasole e Ultraluna ci mettono il carico, piazzando a Malie una PALESTRA di KANTO creata ad immagine e somiglianza della palestra di Lt. Surge di Aranciopoli, con al suo interno allenatori che parlano per metà in inglese e con i nomi scritti in CAPS LOCK.
Palestra che è comunque sempre più utile della Valle dei Pikachu.

Quando arrivi ti offrono una BIBITA, e alla fine ti danno una MEDAGLIA.

E non è tutto: in Sole e Luna, al termine dall’avventura, Lylia partiva con sua madre per un viaggio a Kanto. Stavolta è un altro personaggio a partire, ma Kanto è sempre la regione di destinazione. Ciceria ci spiega che la sua scelta è stata forse dettata dal fatto che quando era piccolo gli raccontava spesso dei suoi viaggi in quella regione. E non è la sola: ogni volta che si accenna a una regione lontana, ci si riferisce quasi sempre a Kanto; i vacanzieri e i turisti hanno inoltre, nella schiacciante maggioranza dei casi, Pokémon di I generazione.
È quasi come se la stessa GAME FREAK considerasse tutte le altre regioni figlie di un dio minore, indegne di meritarsi cenni e tributi come invece, a quanto pare, si merita Kanto.

Il tributo che non stona

In tutto questo tripudio di glorificazione della prima storica regione della saga c’è tuttavia un singolo cenno che non stona assolutamente, anzi. Sto parlando dell’episodio Team Rainbow Rocket, disponibile per i giocatori poco dopo aver affrontato e battuto la nuovissima Lega di Alola.

Come sempre, il Team Rocket ha uno stile sobrio ed elegante.

Quest’episodio, che finalmente dà dignità al postgame di un gioco ambientato ad Alola, è davvero ben curato: per prima cosa non viene inserito brutalmente all’interno della trama ma introdotto in due riprese ben congeniate, che ci presentano i nuovi antagonisti in modo graduale e scorrevole, inserendo in tutto questo anche la possibilità di provare la nuova feature dell’Agenzia Lotta senza forzature sgradevoli. Soprattutto, l’intero episodio è colmo di riferimenti, nella struttura stessa, alle meccaniche della prime generazioni senza risultare stucchevole o strano; anzi, il loro inserimento nel level design è assolutamente legittimo, perché sempre di Team Rocket stiamo parlando. E così abbiamo almeno tre-quattro ore di gioco assicurate in cui districarci tra pannelli di teletrasporto, mattonelle-rullo direzionali, statue antifurto a foggia di Meowth, con reclute piuttosto forti e Capi dei Team Malvagi decisamente ostici da battere.

Il nostro vecchio, caro, Padre dell’Anno.

E anche qui l’intero avvenimento sembra ancora un pretesto per gettare una nuova luce sui vecchi antagonisti, svecchiandoli e arricchendoli di nuove sfumature. L’esempio più lampante è quello di Ghecis, che improvvisamente si trova a confrontarsi con un insospettabile nemico, in un piccolo colpo di scena davvero soddisfacente.

Si chiude un capitolo

Con Pokémon Ultrasole e Ultraluna si chiude un capitolo fondamentale: sono infatti gli ultimi titoli principali giocabili su console della famiglia allargata DS/3DS. La domanda sorge quindi spontanea: questi due titoli sono davvero degni di chiuderlo, questo capitolo?

La bellezza mozzafiato di quest’artwork basterebbe a rispondere, ma purtroppo le cose non sono così semplici.

La risposta è sì, ma con qualche riserva. Forti del fatto di basarsi su giochi già ottimi di per sé, queste terze versioni arricchiscono ulteriormente i solidi Pokémon Sole e Luna rivelando sempre nuove sfumature, grazie anche solo a un paio di righe di testo inedite. Le nuove feature, come il Surf Mantine, il Fotoclub o l’Agenzia Lotta, sono meccaniche secondarie ma ben inserite e piacevoli; proprio come nel caso del nuovo Pokédex Rotom, che anche se a tratti appare un po’ fastidioso, dimostra la sua indubbia utilità con i vari Poteri Rotom. Alcune prove sono state cambiate e migliorate, come quella del Capitano Chrys con una rinnovata atmosfera da Professor Layton.

E se questi sono tutti punti a loro favore, rimangono però difetti più o meno gravi, sul piano hardware (come il framerate che crolla nelle Lotte in Doppio o i con i Pokémon Dominanti, segnali di una console ormai non più capace di soddisfare appieno le potenzialità del gioco), o sul piano concettuale (e questi sono quelli più preoccupanti: Poh sempre uguale a se stessa, l’abuso del meccanismo di nostalgia, le occasioni perse con l’Ultramegalopoli, qualche inconsistenza nella trama). Ricapitolando: Pokémon Ultrasole e Ultraluna non sono i migliori giochi Pokémon di sempre, come avevamo sperato, ma di sicuro in quanto a completezza si posizionano sul podio della saga, subito alle calcagna di Pokémon HeartGold e SoulSilver e Pokémon Bianco 2 e Nero 2.
L’impressione finale, comunque, è che si potesse fare molto di più.

Superare gli ostacoli

Ultimamente, quando si ha a che fare con Pokémon, sembra quasi di sentire lo stesso ritornello di qualche professoressa delle scuole medie: è bravo, ma non si applica. La qualità di alcuni titoli infatti è innegabile, il treno del merchandise è inarrestabile e in generale nelle vendite Pokémon continua a raggiungere numeri incredibili; tuttavia, appena terminato il ventennale della saga (e dell’anime, con tutto ciò che questo comporta), è il momento di guardarsi indietro per cercare di capire come andare avanti.

La “nostra” evoluzione dalle origini fino a Unima.

Pokémon ha avuto l’onore (e l’onere) di crescere un’intera generazione, di dare un volto ai fenomeni dei suoi anni con il collezionismo e la cultura pop, ha sperimentato con noi il boom tecnologico e l’esplosione delle telecomunicazioni che ci ha portato dagli scambi in link con un cavo argentato agli scambi e lotte online del Festiplaza, con le loro declinazioni. In tutto questo sono passati vent’anni, e inserendo sempre innovazioni di portata più o meno maggiore, la saga è riuscita a mantenere quella struttura, quella linearità concettuale che l’ha sempre contraddistinta, dal 1996 fino ad oggi. Se per alcuni questo è sicuramente un tratto positivo, d’altra parte la struttura sempre uguale rischia di essere un’ àncora al passato, in una cornice videoludica in perenne mutamento e miglioramento. Parliamoci chiaro: il rischio che Pokémon “rimanga indietro” c’è, e non è da trascurare, complice anche quel continuo ammiccamento alla nostalgia che soddisfa una buona fetta di pubblico, stufandone un’altra forse altrettanto grande.
E quindi?

E quindi, quando si è tanto ma non si è abbastanza, serve un cambio di rotta, serve un piccolo colpo di scena. Per andare avanti bisogna sapersi reinventare, e forse, con la fine della saga su console portatile e lo sbarco su Nintendo Switch, una ibrida dal target chiaramente più adulto di un 3DS, questo è il momento migliore per cambiare e rinnovarsi. Per dirla con le parole del Gattopardo, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

E così ci ritroviamo a salutare anche Alola. Qualcuno di noi, senza darlo a vedere, con gli occhi umidi.

Del bisogno di un reboot, come ha già detto qualcuno, si sente il bisogno più che mai. Perchè Ultrasole e Ultraluna sono degli ottimi giochi, ma la saga di Pokémon deve andare avanti.
E noi dobbiamo andare avanti con lei.

 

Modus operandi della recensione

Ho giocato a Pokémon Ultrasole grazie a una copia gentilmente fornita da Nintendo, arrivando a concludere l’episodio Rainbow Rocket dopo una sessantina di intense ore di gioco.

1 thought on “[RECENSIONE] Pokémon Ultrasole e Ultraluna

  1. Recensione impeccabile, oserei dire la migliore che ho letto fin’ora: scritta tanto col cuore quanto col cervello, e mette perfettamente in luce pro e contro di un gioco che ho nel complesso amato, ma che si trascina dietro dei difetti su cui non si può e non si deve soprassedere. Complimenti!

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